di Gianluca Veronesi- Arcipelago
A me piacciono le parole. Quelle azzeccate, chirurgiche, funzionali, eleganti, appuntite, spigolose, desuete, alla moda, scomode, spiazzanti, morbide, riconcilianti etc. etc.
Uno dei luoghi di loro elaborazione è la politica. Non a caso un comune modo di dire sostiene che la politica “sa fare solo parole”.
Di recente due frasi hanno sollecitato la mia attenzione: la “modica quantità” e la “reazione proporzionata”. La prima deve regolare la lotta alla droga, la seconda limitare la legittima difesa nella propria abitazione.
Ma sono due obiettivi che, ricontestualizzati, potrebbero essere alla base di qualunque religione, filosofia o saggezza.
Ogni ambito della vita necessita di prudenza, di sobrietà e di “misura”. Solo l’alienato marketing commerciale può farci aspirare alla felicità perpetua. La felicità non può essere la costante, essa è la punta, l’apice che rende possibile una media di ragionevole benessere. La gioia permanente infatti ha un solo nome: droga (chimica, farmacologica, sintetica, alcolica o psicologica) ed è l’inizio di ogni sventura.
Però questi due slogan legislativi a me fanno pensare: sono due concetti relativisti e compromissori. Un punto di vista di mediazione. Un tempo le leggi o affermavano o negavano: puoi sparare, non puoi far uso di stupefacenti, oppure viceversa: è legalizzato fumare ed è vietato difendersi colle proprie mani (attività riservata alle forze dell’ordine).
È come se prendessimo atto che le realtà, gli uomini, le circostanze sono diventati così complicati e complessi che è ormai impossibile essere rigorosi, severi, manichei, spietati (nel senso di senza pietà).
C’è una parola, appunto, che rende alla perfezione lo stato dell’arte: siamo diventati “pragmatici”. Facciamo tutto il possibile ma non ci illudiamo più di poter battere il male. Cerchiamo di arginarlo, di isolarlo, di indebolirlo ma non abbiamo più la forza per affrontarlo a viso aperto.
Riconosciamo a chiunque una attenuante, una parziale giustificazione, più che altro perché consapevoli dei nostri limiti, dei nostri vincoli, delle nostre precedenti sconfitte.
Tuttavia c’è un caso recente, secondo me, dove non è stata applicata sufficiente misura e soprattutto la reazione equilibrata: al Salone del libro di Torino.
Troppo se n’è parlato. Sarò breve perché la circostanza non meritava questa attenzione. Apparentemente i casi sono tre: è inaccettabile che esista un editore vicino a Casa Pound, è inaccettabile che Salvini collabori ad un libro-intervista, è inaccettabile che un’opera che metta insieme i due sia presentata al Salone.
Primo caso: se l’editore reazionario ha pubblicato un libro apologetico del fascismo (cosa che scommetterei si è verificato in qualche altro libro di qualche altro stand della Fiera). Ma escludo che il libro del vice presidente del Consiglio ( che curiosamente nessuno ha recensito) sia un trattato storico-filosofico sulla fenomenologia della tirannide.
Secondo caso: se lo smisurato narcisismo di Salvini voleva un libro. Sarebbe tuttavia bastato rivolgersi alle primarie case editrici nazionali per mettere in moto un’asta sui diritti dell’opera (per piaggeria, non fosse altro). Nessuno avrebbe trovato da ridire ed egli avrebbe venduto anche molte copie.
Terzo caso: se gli intellettuali nostrani hanno dimenticato Gramsci: l’egemonia culturale è questione seria, che non puoi svilire mostrando fastidio o irritazione per un mediocre sprovveduto. Un poveretto che al culmine della gloria, dopo che una pessima regia lo ha elevato al per lui meraviglioso ruolo di eroe negativo e nel momento in cui tutti si aspettano da lui un’analisi apocalittica e distruttrice del pensiero unico e del politicamente corretto, non sa fare di meglio che dichiarare che un po’ di dittatura, ogni tanto, non ha mai fatto male a nessuno.
L’egemonia non si conquista e soprattutto non si mantiene con la forza, l’arroganza, la sufficienza ma con il carisma, il talento, l’impegno, la generosità. L’egemonia convince, fa scuola, condivide, non toglie la parola.
Morale della favola: l’unico che ha letto Gramsci e che lo patisce tantissimo è quel goliarda di Salvini che, nel suo frenetico andare su e giù per l’Italia, ha raccattato il più improbabile degli editori e il più maldestro dei pensatori al solo scopo di provocare la reazione scandalizzata e stizzita di intellettuali, di direttori dei “giornaloni” e di famosi opinionisti.
Naturalmente, già che c’era, ha provato anche a portare via qualche voto di nostalgici, arditi e reduci di Salo’ ai suoi Fratelli d’Italia.
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