(da https://claudiobraggio.wordpress.com/2014/12/03/il-capitale-del-ventunesimo-secolo/- posted by Claudio Braggio)-
Che siate progressisti o conservatori non importa.
Non potete fare finta di niente, dovete confrontarvi con “Capitale nel Ventunesimo Secolo” di Thomas Piketty, un lavoro chiaro, accurato nell’analisi, ambizioso e necessario per alimentare il dibattito pubblico.
Uno straordinario sforzo di ricerca, partito molti anni fa nell’ambito di una vastissima collaborazione internazionale, e condensata in uno scritto che mette insieme una gran mole d’informazioni, a supporto di una tesi semplice e chiara anche per il lettore non avvezzo al gergo accademico.
Condivido la premessa del libro: “La distribuzione del reddito e della ricchezza è un argomento di centrale importanza per il dibattito pubblico”, che propone di riflettere sulle crescenti disuguaglianze e l’implicazione che esse hanno sulla società e le politiche pubbliche.
La questione in merito alla “giusta” distribuzione del reddito e della ricchezza è troppo importante per essere lasciata solamente agli accademici, perché questo tema deve tornare a interessare tutti se vogliamo invertire la tendenza.
La lotta alla disuguaglianza è la battaglia politica che deve accomunare cittadini di ogni paese e forze politiche di diverso orientamento, sebbene le disuguaglianze siano cresciute negli ultimi trent’anni grazie all’ignavia e la crescita della disuguaglianza è dovuta in modo preponderante a cambiamenti politici, specie quelli che riguardano la finanza e la tassazione.
Piketty evidenzia la sua passione per il dibattito politico e il suo rifiuto per alcune convenzioni accademiche.
Sovente ci si focalizza sulle analisi a livello micro, sulle leggi della matematica, sulla cura del piccolo dettaglio fine a se stesso, sulle battaglie disciplinari, e si è dimenticato il macro-contesto e l’uomo che ci vive dentro, con le sue speranze e le sue paure.
Per questo gli accademici (o tecnici, se preferite) si comportano in modo puerile, dimenticando la funzione sociale del loro scrivere e del loro insegnare (vedi Gramsci, se l’intellettuale non è organico a una causa non serve a nulla).
Capitale nel Ventunesimo Secolo si dipana su quattro domande, una tesi centrale che le raccorda, e una proposta per lenire la disuguaglianza.
Le quattro domande possono essere riassunte come segue:
- Cosa sappiamo della distribuzione del reddito e della ricchezza negli ultimi duecento anni?
- Le dinamiche di accumulazione del capitale privato conducono davvero alla concentrazione della ricchezza in poche mani come postulato da Marx nel diciannovesimo secolo?
- Oppure, alcune forze contro-bilancianti come crescita, competizione e progresso tecnologico portano in stadi successivi di sviluppo a un livello più basso di disuguaglianza e maggiore armonia fra le classi, come sostenuto da Kuznet nel ventesimo secolo?
- Quali lezioni possiamo derivare dallo studio dell’evoluzione della concentrazione del reddito e della ricchezza per comprendere il mondo in cui viviamo?
Piketty risponde a queste domande in un tour de force intellettuale e analitico.
Risponde alla prima domanda mettendo insieme tutti i dati disponibili, armonizzandoli, condividendoli con tutti sulla rete.
Risponde alla seconda e alla terza domanda dando parzialmente ragione a Marx (pur senza addentrarsi nella teoria Marxista) e alla quarta proponendo una policy globale per ridurre la concentrazione della ricchezza nel pianeta.
Quest’analisi, basata sui dati e sullo studio della teoria economica tradizionale, sfocia nell’enunciazione di una teoria che postula che, in futuro (se nulla cambierà nel quadro legislativo internazionale), il mondo diventerà sempre più diseguale.
‘L’apocalisse marxista’ e lo scontro di classe sarebbero stati evitati grazie alla crescita economica e alle dinamiche di mobilità sociale dovute alla diffusione della conoscenza.
Tuttavia, a partire dalla fine degli anni 70, lo scenario è radicalmente cambiato perché il tasso di ritorno del capitale è stato costantemente più alto rispetto al tasso di crescita del prodotto interno lordo e del reddito.
Situazione analoga a quella che ha visto l’esplosione della disuguaglianza nel diciannovesimo secolo. In questo tipo di contesto, Piketty sostiene che il capitalismo continuerà automaticamente a generare disuguaglianza.
Se il tasso di ritorno del capitale sarà superiore alla crescita economica, gli investimenti continueranno a concentrarsi sulla speculazione finanziaria e non sui settori economici che creano lavoro.
Quanti detengono capitali avranno gioco facile nell’accumulare ricchezza rispetto a chi vive di solo lavoro.
Una situazione in grado di minare il capitalismo e la democrazia, distruggendo la meritocrazia e l’incentivo a lavorare.
Esiste il reale pericolo di un ritorno al tempo in cui la rendita dominava sul lavoro.
Secondo Piketty “In economie che crescono molto lentamente, la ricchezza accumulata in passato assume un’importanza spropositata, perché occorre solamente un piccolo flusso di nuovi risparmi per accrescere lo stock di ricchezza in modo continuo e sostanziale. Se in aggiunta, il ritorno proveniente dal capitale rimane significativamente più alto della crescita per un periodo esteso di tempo, allora, il rischio di divergenza nella distribuzione di ricchezza è veramente alto”.
Osservando i trend storici, Piketty sostiene che le principali forze economiche e sociali, che secondo lui avevano progressivamente ridotto la disuguaglianza, siano state fiaccate dalle scelte politiche fatte negli ultimi 30 anni.
L’economista francese propone allora una soluzione a questo problema: l’istituzione di una tassa progressiva e globale sul capitale, che secondo lui permetterebbe, in economie a scarsa crescita, di evitare una spirale infinita di crescita della disuguaglianza, preservando allo stesso tempo, competizione e incentivi ad accumulare ricchezza.
Una soluzione vagamente utopica, ma occorre ricordare che un secolo fa anche la tassazione sul reddito era tale.
Aldilà della fattibilità di questa tassa, c’è un elemento fondamentale che il Piketty studioso evidenzia: occorre trasparenza, quindi rendere tali i dati sulla ricchezza, imponendo una regolamentazione semplice e non eludibile a tutti i paesi e a tutte le banche.
Una società giusta è quello in cui la ricchezza risulta meno polarizzata, perciò le informazioni sulla ricchezza debbono essere messe a disposizione, mentre oggi i dati sulla ricchezza possono essere solo stimati e questo provoca grandi controversie.
In conclusione, con le parole di Piketty nell’ultima sezione di “Capitale nel Ventunesimo Secolo” , dedicata ai più poveri.
“Mi sembra che tutti gli scienziati sociali, i giornalisti e i commentatori, tutti gli attivisti del sindacato e quelli politici, e tutti i cittadini dovrebbero avere un interesse serio per il ‘denaro’, per come misurare la sua distribuzione, per i fatti che lo circondano e per la sua storia.
I ricchi non hanno mai fallito nel difendere il loro interesse.
Rifiutare di avere a che fare con i numeri serve raramente l’interesse dei meno abbienti”.
Il dibattito è aperto.
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