(di Arturo Diaconale)-
Il modello emiliano. È quello che ha in testa e che persegue con testarda determinazione il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. Un modello che prevede la presenza assoluta ed esclusiva degli ex comunisti in tutti i settori e gli snodi istituzionali della società e che chiude le opposizioni nel ghetto degli impresentabili. È sulla base di questo modello che Bersani, dopo aver conquistato le presidenze di Camera e Senato, ora si accinge ad occupare quella della Presidenza della Repubblica e, di seguito, quella della Presidenza del Consiglio. Il segretario del Pd non ha condiviso la decisione di Giorgio Napolitano di nominare i dieci saggi con il compito di indicare i punti programmatici su cui i maggiori partiti (ovviamente Pd e Pdl) potrebbero accordarsi per dare vita ad un nuovo governo. Il suo obbiettivo è esattamente opposto.
Ma pur non condividendo la mossa del Capo dello Stato ha lucidamente capito di poterla sfruttare a proprio vantaggio. Perché nel dare dieci giorni di tempo ai saggi Napolitano si è di fatto tirato fuori dalla questione del nuovo governo ed ha passato la patata bollente al suo successore al Quirinale. E su questa debolezza (o ragionato ultimo servigio al proprio partito d’appartenenza) del Presidente della Repubblica uscente, il segretario del Pd ha rilanciato la propria azione tesa alla piena e intransigente realizzazione del modello emiliano. La proposta lanciata al Pdl di una intesa sul nome del nuovo Capo dello Stato in cambio di un via libera del centrodestra ad un governo Bersani di minoranza è la mossa iniziale dell’operazione tesa a conquistare tutto ed a fare piazza pulita degli avversari (esterni ma anche interni). La proposta , infatti, è una trappola. Bersani esclude un accordo su un nome che sia al di sopra delle partiti e possa rappresentare l’intero paese. Il segretario del Pd chiede che il Pdl voti per il meno peggio dei candidati espressi dalla sinistra. Cioè che accetti di mandare un altro esponente dichiaratamente della parte avversa al Quirinale.
E per convincere il centrodestra a piegarsi a questa pretesa Bersani fa circolare a scopo intimidatorio i nomi di Proti, Rodotà, Zagrebelsky, cioè i campioni del giustizialismo e dell’antiberlusconismo viscerale, che in caso di mancato accordo potrebbe votare d’intesa con qualche pezzo del Movimento Cinque Stelle secondo lo schema Grasso. Per non avere uno di questi nemici dichiarati ed irriducibili al Quirinale, quindi, il Pdl dovrebbe piegarsi ad accettare comunque un nome comunque espresso dal Pd ed accettare la prassi secondo cui il Colle è riserva di caccia esclusiva della sinistra. Ma, soprattutto, dovrebbe consentire a Bersani, di nuovo incaricato di formare il governo dal nuovo inquilino “amico” del Quirinale, di varare senza condizionamenti di sorta ed intese di alcun genere un esecutivo di minoranza. Un esecutivo caratterizzato da un programma, fatto apposta per conquistare i voti di volta in volta dei grillini, avente come unico obbiettivo quello di espellere una volta per tutte Silvio Berlusconi dalla scena politica italiana.
Il disegno di Bersani è fin troppo esplicito, chiaro, dichiarato. Il segretario del Pd è convinto che per recuperare l’elettorato di sinistra passato a Beppe Grillo non abbia altra strada che quella di decapitare metaforicamente il Cavaliere espellendolo con ignominia dal Parlamento e condannando il centrodestra senza più leader alla emarginazione ed alla scomparsa dalla vita pubblica nazionale. Berlusconi dice che il piano escogitato da Bersani sia un golpe. Dal suo punto di vista non ha torto. Perché occupare tutte le istituzioni e mandare il principale leader dell’opposizione in galera è tipico delle operazioni golpiste. Ma è di scarsa importanza definire golpista o meno questa operazione. Più importante è capire che pensare ad eliminare gli avversari mentre il paese precipita nel baratro è da irresponsabili. Tanto più che la maggioranza degli italiani rimane comunque contraria alla sinistra forcaiola e che un Berlusconi fuori dal Parlamento e perfino in carcere può avere lo stesso effetto elettorale e di consenso di un Cavaliere a piede libero.
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