(di Lafayette)-
Perché in alcuni ambienti della socialdemocrazia europea cominciano a destare interesse le elezioni in Gran Bretagna che si terranno il prossimo 7 maggio? Forse la risposta a questo quesito coinciderebbe con il fatto che l’esito del confronto elettorale nel Regno Unito ha sempre anticipato di qualche lustro quelli successivi sul vecchio continente. Più che il risultato in sé, in quanto assai poco misurabile con le altre democrazie euro-occidentali in ragione dei diversi sistemi elettorali, ciò che può essere oggetto d’attenzione per alcuni e di preoccupazione per altri è il “vento” che attualmente spira nel Labour Party. Una corrente d’aria proveniente da sinistra che ha preso consistenza negli ultimi dodici mesi, spazzando gli ultimi rimasugli del centrismo blairiano. Quindi, per la proprietà transitiva si potrebbe affermare che qualora vincesse il Labour, ed essendo questo ormai disincantato dall’avventura liberale, è assai probabile che la socialdemocrazia continentale possa anch’essa metterla in soffitta. Accadde così, sebbene in direzione opposta, quando Margaret Thatcher vinse nel 1979; lo stesso fu per Tony Blair che inaugurò il New Labour nel 94 ispirando gran parte della socialdemocrazia continentale (e.g. Gerhard Schröder 2004). In verità, non c’è certezza che la “contaminazione” riesca a varcare la Manica, poiché il partito guidato da Ed Miliband, secondo gli ultimi sondaggi, condurrebbe la corsa con solo 275 seggi sui 326 necessari per avere la maggioranza parlamentare[1] (occorrerebbe in questo caso la formazione di una coalizione). Tuttavia, se dovesse riuscire l’en plein sicuramente gli effetti non si concretizzerebbero il giorno successivo. Di norma, il tempo che separa un’eventuale “novità” inglese dal resto dell’Europa occidentale è di circa dieci anni. A casa nostra il ritardo sarebbe ancora più prolungato, infatti abbiamo appena iniziato la “sfolgorante” età blairiana.
I documenti programmatici dei partiti politici non appassionano i lettori. In essi notiamo quasi sempre un ritualizzato attacco nei confronti dei supposti fallimenti altrui, accompagnato da un coraggioso tentativo di magnificare le proprie salvifiche proposte, alcune a sfondo ideologico, altre meramente opportunistiche volte a elargire qualche concessione ai gruppi d’interesse più accreditati, il tutto all’interno di una narrazione spesse volte tanto prevedibile quanto incoerente. Tuttavia, “A Better Plan for Britain’s Prosperity”[2], il manifesto Labour che delinea il pensiero economico del partito per la prossima legislatura, è molto meglio di quanto qualche anno addietro si potesse immaginare. Non è certo la Teoria Generale di Keynes, ma è un documento ben pensato, un tentativo coraggioso di analizzare i problemi della Gran Bretagna attraverso un’ottica solidarista e quindi segnatamente alieno da quella ubriacatura del financial business tanto cara al conservatorismo liberale quanto, benché in misura minore, al centrismo del New Labour. Senza entrare nei dettagli, pur con uno sguardo superficiale al documento d’intenti, si desume che la svolta è percepibile, poiché si ritorna a proporre un programma d’investimenti pubblici e privati in base al quale sono i cittadini, mediante il potere dell’esecutivo, a decidere ciò che a parer loro ritengono più proficuo per la crescita della loro comunità nel lungo termine, anziché delegare la scelta alla tirannia della “brevità” tipica del capitale finanziario. Non che il libero mercato sia escluso dal gioco, ma il suo perimetro d’azione è circoscritto in funzione di determinati obiettivi, “è piuttosto per un altro tipo di business e cultura del business rispetto a quella che ora domina nell’economia”.[3]
A questo punto è curioso chiedersi perché, dopo qualche anno d’incertezze e di confusione ideologica, la direzione del partito man mano che si avvicinava la scadenza elettorale sempre più converse a sinistra? Le ragioni possono essere molteplici, in questo breve saggio cerchiamo d’identificare le più importanti:
La “doccia scozzese”
La Scozia tradizionalmente è sempre stata la riserva strategica del Labour, (41 seggi su un totale di 59, elezioni 2010) gli ultimi tre leader del partito sono nati al di là del vallo di Adriano, John Smith, Tony Blair (sebbene il suo seggio elettorale e il suo conseguente impegno politico gravitasse nell’area londinese) e Gordon Brown. Sennonché, nel corso dell’ultimo decennio la “benzina” scozzese a causa di un “centrismo” labourista esasperato, unito ai provvedimenti antisociali del governo conservatore, si è con il tempo esaurita lasciando il partito in totale “riserva”. Gli scozzesi, e in particolare coloro che appartenevano ai ceti più colpiti dalla crisi economica, iniziarono in modo progressivo dalla “devolution” del 1998 in poi a coltivare il sogno dell’indipendenza come scelta taumaturgica, abbracciando sempre più entusiasticamente il programma del NSP (National Scottish Party) di Alex Salmond. La “doccia” si fece ancor più gelata per il Labour all’approssimarsi del referendum per l’indipendenza, che si tenne il 18 settembre 2014, quando i sondaggi a poche settimane dal voto davano – quella che sei mesi prima fu ritenuta inimmaginabile – una possibile vittoria per i separatisti. Ci volle tutto il peso dell’ex primo ministro Gordon Brown che a pochi giorni dalla consultazione tenne un appassionato discorso a favore dell’unione[4] e forse ciò contribuì a evitare la separazione e la conseguente mutilazione di gran parte della forza del Labour. L’acqua tornò tiepida, ma i brividi di freddo all’incauto Miliband lasceranno qualche amaro strascico: “alcune indicazioni di voto danno SNP in Scozia vincente 40 seggi parlamentari su 59 il prossimo maggio.”[5]
I nuovi cespugli a sinistra: il Left Unity al Nord e i Green nelle aree urbane del Sud dell’Inghilterra.
Circa trent’anni di deindustrializzazione selvaggia e continui processi di privatizzazione aggravati per di più dalla crisi del 2008 hanno ridotto ampi spazi del settentrione inglese a una terra desolata, popolata per la maggior parte da lavoratori con contratti saltuari che percepiscono bassi salari. “L’economia inglese è in involuzione. Ha creato troppi bassi salari e lavori poco produttivi. Molte piccole aziende sono state acquisite da grandi complessi. C’è una scarsa innovazione di valore. Troppe grandi aziende sono sottoposte alla pressione di mettere al primo posto il valore delle proprie azioni e ciò significa una sotto utilizzazione delle loro capacità industriali”[6] Detto in altri termini il passaggio dall’economia del “ferro” a quella di “carta”, inaugurata dalla Lady di ferro e proseguita con la temperie blairiana, nelle aree settentrionali ha prodotto alti tassi di disoccupazione, lavori precari e mal pagati, ed infine una percentuale elevata di poveri, che oggi la tassonomia sociologica per pudicizia li categorizza con un eufemismo quanto mai strambo: “underprivileged”. Non che il Sud se la passi meglio delle Midlands, soprattutto nelle zone ad alta concentrazione urbana.
In Gran Bretagna, visualizzando le statistiche pubblicate dall’Institute for Economic and Social Research[7], tra il 2008 e la fine del 2013 il reddito reale da lavoro annuale è diminuito dell’8%, o di circa £ 2,000. Una caduta verticale che lo stesso rapporto considera come senza precedenti. Il deprezzamento salariale per i giovani mette in luce cifre ancora più pesanti: il 13% per la fascia da 25 a 29 anni di età; il 14% per quella da 18 fino a 25 anni. Parte della spiegazione secondo la tesi propugnata dalla nota istituzione londinese è dovuta al fatto che la bassa crescita della produttività risente della mancata destinazione di una quota dei lucrosi profitti aziendali verso il miglioramento delle condizioni economiche e di riqualificazione dei lavoratori. In questo modo, i lauti dividendi sono stati interamente distribuiti agli azionisti incrementando la rendita del capitale finanziario e conseguentemente gonfiando in modo spropositato il prezzo delle azioni. Di ciò, sono stati principalmente responsabili i “top manager”, i quali adottando questa strategia egoistica ne hanno tratto un enorme vantaggio tramite i bonus e gli incentivi. “C’è stata, come afferma Guy Standing nel suo recente libro “The Precariat”, una vasta azione mirata a declassare le qualifiche dei ruoli lavorativi in modo da corrispondere salari più bassi; c’è stata anche una crescente fiducia tra i datori di lavoro che non c’era bisogno di pagare salari più alti in ogni round annuale di contrattazione”[8]. Complessivamente, in Gran Bretagna è avvenuto un incremento sostanziale della disuguaglianza e una pauperizzazione della classe media. Queste condizioni sociali che ci riportano alla depressione degli anni 30 ha provocato un fermento divisivo all’interno del Labour e la conseguente nascita di formazioni locali radicali che hanno sottratto consenso alla tradizionale base socialdemocratica durante le recenti elezioni municipali.
Il regista Ken Loach, veterano socialista, dopo aver perorato un paio di anni fa la formazione di un partito di sinistra alternativo al Labour, è uno dei fondatori del Left Unity. Loach afferma che “il partito laburista in modo consistente si è spostato a destra, ed è ora spudoratamente un partito neoliberale, perseguendo lo stesso programma di austerità, [non fa altro che] solo riordinare leggermente le briciole sul tavolo.” [9]
Perché il Green Party (stimato al 7%) e il Left Unity (5,5%) possono rappresentare un pericolo serio per il Labour?
La Gran Bretagna è divisa in 650 constituencies (collegi) e dal 1885 con un sistema elettorale maggioritario (first past the post), ossia “il primo prende la posta [in gioco]” che premia un sostanziale duopolio. Dacché, il cosiddetto voto “marginale” è assai importante, poiché può causare la vittoria dell’uno e la sconfitta dell’altro per un’inezia. Una differenza che va da 5 ai 10 punti di percentuale a discapito del Labour rispetto alle altre tre maggiori formazioni concorrenti può risultare problematica per mantenere il seggio in alcuni collegi, soprattutto in Scozia e in molte aree urbane settentrionali dell’Inghilterra, (three-way marginal constistuencies)[10].
Wigan e la riscoperta di George Orwell.
La città di Wigan, il fantasma di Orwell e il Labour di Miliband sono stati costretti, per un curioso destino, a marciare allineati in questi ultimi cinque anni. Ognuno di loro, se avessero potuto scegliere, avrebbe preferito un’andatura solitaria, ma gli eventi nefasti della crisi economica e il conseguente interesse della stampa inglese progressista li ha indotti a posare congiuntamente più volte per la classica foto di famiglia. Wigan, una città di circa 80.000 abitanti locata nel Lancashire, ex distretto minerario, è diventata per “colpa” di George Orwell il simbolo dell’Inghilterra povera, sfruttata, affamata, sporca e puzzolente. In breve accadde questo: nel 1936, nel pieno della grande depressione europea, l’editore Victor Gollancz commissionò a Orwell il compito di recarsi nel Nord dell’Inghilterra per descrivere le condizioni di vita della classe operaia inglese. Lo scrittore documentò con perfetto realismo il degrado sociale di quei luoghi e lo sfruttamento vergognoso a cui furono sottoposti i minatori inglesi. Ne sortì un libro, a metà strada tra una “social enquire” e un pamphlet politico, nel quale Orwell non si limitò solo a denunciare i mali di un capitalismo privo di controllo, ma, nella seconda parte dell’opera sfoggiò una dura reprimenda nei confronti dell’allora intellighenzia social-comunista e della classe dirigente del Partito Laburista. Rei a suo dire, i primi di essere nientemeno che dei fannulloni borghesi in cerca di notorietà a spese della fatica dei lavoratori manuali, i secondi di pensare ai fatti loro anziché perseguire politiche a tutela degli umili e degli esclusi. Orwell alla fine ne fece le spese, la seconda parte dell’opera fu censurata dall’editore e non fu pubblicata a causa di forti pressioni esterne, la prima cadde nel dimenticatoio. Ovviamente, dopo questo episodio, il rapporto tra il Labour e Orwell, anche dopo la sua prematura morte, rimase inconciliabile. E’ assai comprensibile che pure gli abitanti dell’orgogliosa Wigan, rinata nel dopoguerra come città industriale e molitoria, non abbiano fatto molto per ricordarsi di quel fastidioso alto e asciutto individuo dall’accento perfetto che aveva descritto la loro città come un grande fetido porcile. Sennonché, subito dopo la crisi nel 2008, alcuni noti editorialisti e intellettuali inglesi d’orientamento socialdemocratico letteralmente rispolverarono il libro di Orwell dai vecchi scaffali delle biblioteche comunali, e fatto ciò, ripercorsero pedissequamente dopo circa 75 anni il tragitto che fece lo scrittore, mettendo in parallelo le condizioni di degrado di quel tempo da lui descritte con quelle attuali derivate dal disastroso processo di deindustrializzazione che colpì massivamente quelle aree durante gli anni della rivoluzione thatcheriana. Il “tour d’investigazione sociale” si ripeté più volte e diede origine a una sorta di “Via Crucis” secolare, nel corso della quale gli autori furono tutti concordi nell’esprimere lo sdegno per le condizioni di vita di gran parte della popolazione, simili – in alcuni casi peggiori – a quelle degli anni trenta. Venne riscoperto l’Orwell “politico” e il suo libro “The Road to Wigan Pier” da carta destinata al macero divenne un testo di lettura politico-sociale che per l’iconografia socialdemocratica inglese parve improvvisamente tanto importante quanto lo sono i diari del Che per il movimento terzomondista internazionale, con grande soddisfazione della Orwell Foundation e della Penguin Book.
Le molte “Wigan” del 2015 e le sue insopportabili disuguaglianze sociali.
Comunque la città di Wigan è ancora una sorta di “Stalingrado inglese”. Raramente i conservatori in quelle aree, non lontane da Manchester, riescono a “raccattare” oltre il 20% dei consensi, ma in questi ultimi tempi, dopo aver goduto per cent’anni ottima salute, il Labour è “febbricitante”. Due malanni lo affliggono: l’aggressivo UKIP di Nigel Farage (15%) e i delusi della Left Unity (10%). Si lamenta la giovane deputata laburista Lisa Nandy del distretto di Wigan intervistata dall’editorialista del New Statesman nel Lancashire sulle orme di Orwell nel gennaio del 2015:
La Nandy conosce molte degli aderenti del Left Unity di Wigan, ed è anche stata in prima linea picchettando al loro fianco durante le vertenze industriali locali. Tuttavia, lo trova “frustrante che si stia lavorando l’uno contro l’altro“, stigmatizza che, “in un certo modo è necessario quel senso di democrazia, quel senso di sfida, in un luogo che ha votato laburista per 100 anni“.[11]
Ma c’è una ragione per la quale la rappresentante di Wigan a Westminster si debba preoccupare per la tenuta del suo Labour? Si, purtroppo c’è.
Le persone povere residenti a Marsh Green, non essendo in grado di permettersi il biglietto dell’autobus [per raggiungere] la città [Wigan], erano obbligate a camminare [alcune] miglia fino alla banca del cibo centrale [trascinando] pesanti sacchi di cibarie in scatola principalmente per le loro famiglie. Cosicché ora la Chiesa ha creato un avamposto per facilitarne l’accesso. La Chiesa fornisce sostegno pastorale per coloro che lo chiedono, anche [distribuendo] [le confezioni] di minestra e di fagioli in scatola accatastate. Una giovane madre disperata, dall’apparenza pallida e quasi lacrimante, viene correndo per farsi dare del cibo. Ha tre figli e da poco le sono stati eliminati i sussidi sociali….La preside scopre che nella sua scuola “sempre più bambini sono affamati”, e “costoro provengono da case dove non c’è né cibo né riscaldamento”. Recentemente ha fatto visita nell’abitazione di una famiglia, i cui figli avevano improvvisamente smesso di frequentare la scuola materna e scoprì che i genitori erano stati sanzionati dal Centro per l’Impiego e quindi non [si potevano permettere] il riscaldamento. Il vicario, scuotendo la testa, afferma che “sanzionare le famiglie con bambini è come maltrattare i minori”. “Perché punirli?” La preside mi racconta la quantità di persone che vengono in chiesa per [chiedere] cibo: “.[12]
Riprendiamo da The Road to Wigan Pier un breve passaggio di George Orwell scritto nel febbraio del 1936
…accanto a me il volto di una donna, un viso scheletrico attraverso il quale [si notava] uno sguardo d’intollerabile miseria e di degrado. Dedussi che in quella terribile porcilaia si dannava per mantenere pulita la sua numerosa nidiata di bambini, si sentiva come io mi sentirei se fossi completamente rivestito di sterco. E’ necessario ricordare che queste persone non sono zingari, sono decenti inglesi ….[13]
A proposito delle privatizzazioni e del precariato sempre più considerato come modello prevalente, gennaio 2015:
Anche la sottoccupazione è prevalente. Nandy parla della “insicurezza” che qui è sentita da molti lavoratori [percepibile] mediante alcuni commenti del tipo: “quei giorni là sono andati”, che si riferiscono a quando l’industria pesante dl Wigan – “ferrovie, costruzioni, miniere, e prima ancora il tessile” – garantivano un lavoro sicuro per tutta la vita…… Gary, un rappresentante sindacale del posto indossa la maglia azzurra che porta le insegne della Royal Mail, mi spiega, ” Non c’è più sicurezza, [la Royal Mail] è passata da servizio pubblico ad essere un’unità di business, sempre più spinta verso il profitto. Questo ha avuto un grande impatto a livello locale, poiché un sacco di ragazzi che lavorano nell’ufficio smistamento sono residenti in loco”. Infine aggiunge: “Non si assumono più [lavoratori] a tempo pieno, è tutto a tempo parziale, e stiamo perdendo il personale. . . si tratta di una corsa verso il basso “. Ian, un dirigente regionale del sindacato, mi dice che lavorare nell’ufficio di smistamento è stato per lungo tempo considerato alla stregua di: “vorrei avere quel lavoro” a causa della sua stabilità e del buon salario, ma ora “il personale recentemente assunto è assolutamente terrorizzato” a causa delle più precarie condizioni di lavoro. Fino ad oggi i sindacati hanno svolto un ruolo importante nella vita di Wigan, ciò in parte era dovuto al patrimonio industriale della città, ma [oggi] è anche un sintomo delle difficoltà odierne che devono affrontare i lavoratori.[14]
Never more a race to the bottom
La frase più ricorrente che troviamo nel programma elettorale del Labour è “never more a race to the bottom” (mai più una corsa verso il basso) anche perché – come del resto ci ha insegnato Keynes – l’economia è un costrutto sistemico e non è detto che un supposto aumento dell’efficienza o una riduzione del comparto pubblico comporti un pari incremento della ricchezza sociale. Può essere, nel caso in cui la “tensione” efficientista non sia saggiamente modulata, che generi addirittura una esternalità negativa, la quale può dare origine a una forte polarizzazione dei redditi che si traduce in una marcata disuguaglianza, con la conseguente riduzione del reddito mediano, nonché la drastica diminuzione del potere d’acquisto pro-capite che a sua volta induce gran parte della collettività a perseguire forme di radicalismo politico protestatario. Singolare è il commento dell’autorevole economista britannico Will Hutton, rilasciato alcuni giorni or sono sulla pagina economica del The Guardian, che ha destato un certo scalpore tra gli “opinion makers” inglesi per l’insolita forza emotiva con la quale egli ha espresso il suo rammarico per le condizioni di forte disuguaglianza in Gran Bretagna e la sua critica nei confronti dei governi succedutisi nell’ultimo quarto di secolo, i quali, a parer suo, fecero molto per incrementarla e successivamente ben poco per contenerla:
E’ la disuguaglianza che è alla base della crescita insostenibile della povertà, della cattiva salute e della spesa per il welfare. E’ la disuguaglianza che ha spinto la crescente domanda di credito. E’ la disuguaglianza che ha contribuito a creare il nostro fragile sistema bancario. E’ la disuguaglianza che rovina il mercato immobiliare, con i prezzi delle case fuori portata per prima volta dagli acquirenti, e mentre le liste di attesa per gli alloggi sociali si allungano a 1,7 milioni [di richiedenti], una nuova classe di multi-milionari proprietari che acquistano per affittare sono diventati una sgradita parte della tappezzeria sociale. E’ la disuguaglianza che ha trasformato troppi aspiranti imprenditori e top manager della nostra società in facili cercatori di profitto, con conseguenze disastrose per gli investimenti, l’innovazione e la produttività. E’ la disuguaglianza che sta contribuendo al crollo di fiducia nei politici e del processo democratico….La crescita della disuguaglianza è sia un avvertimento della crescente disfunzionalità del nostro capitalismo sia il principale ostacolo per affrontarla.[15]
Buona Fortuna a un Labour che, seppur confusamente e in ritardo, sta dismettendo il suo abito centrista per affrontare questa delicata tornata elettorale prendendo coscienza di quanto sia amara la condizione reale del paese e le vere esigenze della gran parte dell’elettorato. Ed Miliband, nei primi anni del suo mandato, ha peccato troppo spesso d’ingenuità, titubanza e scarsa lucidità. Ora, pare certe nubi si siano dissolte, ci si augura che non sia troppo tardi non solo per la Gran Bretagna ma anche per l’Europa continentale.
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