(di Franco Moscetti- da http://www.lettera43.it/)-
Il Censis ha certificato che l’Italia è un Paese in«letargo esistenziale collettivo» dove prevarrebbe il ‘tira a campare’ quotidiano piuttosto che un orientamento alla progettazione del futuro o immaginando disegni programmatici di medio periodo.
Secondo l’istituto di ricerca socio-economico nel nostro Paese vincerebbero l’interesse particolare, il soggettivismo e l’egoismo individuale e non maturerebbero valori collettivi e unità di interessi.
Veramente questo lo sento dire da quando avevo i calzoncini corti e mi sembra che una volta la chiamassimo «incapacità di fare sistema».
Naturalmente si tratta di considerazioni di carattere generale e di una sintesi del rapporto.
Anche il fatto che in Italia emergessero capacità inventive, ma solo individuali e spontanee, non credo sia una novità.
Però adesso che lo ha certificato il Censis stiamo certamente tutti più tranquilli.
DA CHE PULPITO VIENE LA PREDICA. Va ricordato che il centro studi è presieduto dal professor Giuseppe De Rita (classe 1932) che, almeno a leggere quello che dicono i giornali, starebbe trasformando il famoso istituto di statistica in un affare di famiglia per gli incarichi distribuiti ai figli.
Evidentemente vale sempre il vecchio detto che alcuni parlano bene, ma razzolano male.
Tornando al rapporto, forse l’ho letto troppo superficialmente, ma non vi ho trovato chiare proposte di soluzioni valide per uscire dal letargo esistenziale.
Non ho capito neanche di chi sia la responsabilità per esserci entrati.
Ma questi ultimi due aspetti non dovevano necessariamente rientrare nell’ambito del rapporto.
E IL RICAMBIO GENERAZIONALE? Ho molto rispetto per il prof De Rita, ma se è ancora lui a rappresentare il Censis sicuramente non può dire di aver contribuito al ricambio generazionale.
E se è vera la storia dei figli, anche da un punto di vista meritocratico forse non si è espresso al massimo.
Ricordo che anni fa professava che «piccolo è bello», ma non mi sembra che i fatti gli abbiano dato ragione.
Io sono cresciuto (ormai posso considerarmi in pensione) a base di rapporti Censis o leggendo gli editoriali del professor Panebianco o del prof Della Loggia.
CHI SBAGLIA NON PAGA MAI. Devo dire che in proposito ho letto un post di Marco Liera (fondatore di YouInvest) su Facebook che diceva: «Ma la gente come De Rita, Panebianco, Galli della Loggia eccetera cosa ha fatto per evitare che l’Italia finisse in letargo? Hanno mai pagato per i loro errori? Sono mai stati messi in discussione? Sono mai stati sostituiti nei loro ruoli? Hanno mai creato posti di lavoro? Hanno mai messo la loro “skin in the game”?»
Naturalmente non credo spettasse a loro dare una scossa, ma come ho già avuto modo di scrivere a proposito del fallimento dell’attuale generazione di classe dirigente, tutti abbiamo una responsabilità collettiva.
E quindi questo vale anche per coloro che da decenni dirigono centri di ricerca, occupano cattedre universitarie o firmano editoriali sulle pagine di giornali.
IL FAMILISMO BLOCCA LA MOBILITÀ. Tutto legittimo, per carità, ma questo non ha contribuito al ricambio di classe dirigente e magari consentito agli interessati di “inventarsi” nuovi ruoli e nuove attività con benefici per tutto il sistema.
Il familismo ha certamente aspetti positivi, ma è anche un vincolo alla mobilità sociale se “non sei figlio di”.
È quello che lo stesso Censis ha definito «limbo italico».
Rispetto a una diagnosi simile occorrerebbe però che la terapia fosse adeguata.
Ma, come ho già osservato, un conto è dire, un altro è avere atteggiamenti comportamentali coerenti con quanto si è affermato.
POSIZIONI DI RENDITA DA SFIDARE. Si parla di meritocrazia, ma poi prevale l’interesse per il famigliare.
Si parla di aumentare la dimensione delle aziende italiane, ma poi non si prende nessun provvedimento per facilitare un processo simile.
Si parla di aprire il capitale delle aziende a terzi e di quotarle, poi la stessa Confindustria è rappresentata da un eccellente imprenditore che è però amministratore unico della sua altrettanto eccellente azienda.
È chiaro che non si può chiedere agli intellettuali di risolvere questi problemi, ma chiedergli di sfidare il potere politico, sindacale, imprenditoriale o accademico mantenendo la spina dorsale diritta – che naturalmente potrebbe richiedere anche il sacrificio di rinunciare a qualche opportunità – è un atto dovuto.
CON CHE CORAGGIO SI DANNO LEZIONI? Ogni tanto mi domando: come fanno certi direttori, giornalisti, commentatori, editorialisti di media che sono in crisi economica perenne, a trattare argomenti di economia dispensando consigli, suggerimenti (talvolta diktat) a destra e sinistra?
Ma se non riescono a rendere produttiva la loro azienda pensano di avere la credibilità per occuparsi delle aziende altrui?
È chiaro che la mia è una provocazione, ma il tema rimane: a una domanda simile (a turno) ognuno dirà che la responsabilità è dell’azionista, del sindacato, della “casta” dei giornalisti e così via.
QUI NESSUNO È RESPONSABILE DI NIENTE. L’Italia è quindi entrata in letargo anche perché nessuno è responsabile di niente e perché a fronte dei cambiamenti richiesti ognuno parte dal principio che a cambiare debbano essere sempre gli altri.
Una volta questo atteggiamento era circoscritto solo alla politica, oggi però riguarda tutta la classe dirigente in senso allargato.
Consideriamo però che il letargo nel mondo animale non riguarda tutti. Durante i periodi più freddi gli animali devono adattarsi a stili di vita diversi.
Molti riescono a mantenersi attivi e a procacciarsi ugualmente il cibo, altri migrano verso luoghi più caldi e ospitali. Alcuni mammiferi preferiscono invece trascorrere il periodo più difficile in uno stato di torpore più o meno profondo. Per gli umani mi sembra che la situazione non sia diversa: in questo caso il ‘freddo’ sono le difficoltà socio economiche di un periodo.
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