(di Lafayette)-
Oggidì persino coloro che posseggono modeste conoscenze in macroeconomia internazionale si pongono il quesito di quanto fosse stato poco fruttuoso il sacrificio imposto dalla Germania e dai suoi aggressivi “cespugli” ai paesi periferici (riduzione dei deficit di bilancio, tagli alla spesa pubblica, conformità ai parametri di Bruxelles) che, a loro dire, sarebbero stati necessari per ristabilire gli equilibri di cambio nell’area valutaria dell’euro. Senza ombra di dubbio potremmo affermare che l’ingiunzione a promuovere una politica fiscale di contenimento nel rispetto dei ferrei parametri siglati a Maastricht nel lontano 92 – di per sé augurabile in termini assoluti – alla resa dei conti si è rivelata “necessaria ma non sufficiente” per raggiungere lo scopo. Ovviamente, non si può disconoscere che una certa “pulizia” doveva essere fatta all’interno dei bilanci statali di alcuni partner europei poco disciplinati. Sennonché, nonostante le continue pesanti potature eseguite dai quattro governi italiani succedutesi nell’ordine l’albero non ha fruttificato: i principali dati macroeconomici che misurano la febbre del paese rimangono tuttora pressoché stagnanti (produzione industriale, tasso di disoccupazione, PIL, propensione al consumo). La febbre è ancora alta, la terapia non ha sortito i suoi effetti direbbe il saggio cerusico. Eppure, un anno fa di questi tempi qualcuno ci aveva assicurato che seguendo i suoi dettami la vetta dell’Olimpo sarebbe stata presto raggiunta, sebbene con qualche sofferenza e privazione. Il gagliardo Eracle che scalpitava per affrontare la prima fatica, con l’andare del tempo ha incarnato la triste vicenda nell’imprudente Sisifo costretto a spingere il pesante “masso” dell’equilibrio valutario fino al culmine della collina, per poi, a causa della sua possente mole e l’impervia pendenza, vederselo sistematicamente rotolare addosso.
Nell’articolo successivo l’ex Chairman della FED, Ben Bernanke – non il solito economista scialacquatore post-post keynesiano, bensì un monetarista allievo di Milton Friedman – ci spiega la differenza che sussiste tra spingere un masso su di un erto pendio e compiere la stessa operazione su di una superficie perfettamente piana. A l’incauto Sisifo e ai suoi degni improvvidi corifei sarebbe opportuno che qualcuno suggerisse loro di battersi affinché si imponesse il “livellamento” del colle piuttosto che accusare d’inerzia e disfattismo coloro che ritengono lo sforzo tanto erculeo quanto inutile. Sempre che, i “proprietari” dell’altura siano disponibili a ridurre la pendenza considerata l’ottima vista “egemonica” di cui godono sulla palude dei supposti reprobi.
Dal blog di Ben Bernanke, Brookings Institution http://www.brookings.edu/blogs/ben-bernanke/posts/2015/04/03-germany-trade-surplus-problem
Germany‘s trade surplus is a problem
In poche settimane, il Fondo Monetario Internazionale e altre istituzioni internazionali, come il G20, si incontreranno a Washington. Quando partecipai a queste riunioni internazionali come Presidente della Fed, i delegati discussero a lungo sulla questione degli “squilibri globali” ovverosia il fatto che alcuni paesi abbiamo conseguito ampi avanzi commerciali (esportazioni in quantità superiori alle importazioni) e altri (gli Stati Uniti in particolare) abbiano accumulato un grande deficit commerciale. (Il mio recente post discute le implicazioni degli squilibri globali da un punto di vista del risparmio e dell’investimento.) La Cina, che ha mantenuto il suo tasso di cambio sottovalutato per promuovere le esportazioni, è stata oggetto di particolari critiche per i suoi grandi e persistenti avanzi commerciali.
Tuttavia, negli ultimi anni la Cina si è impegnata a ridurre la sua dipendenza dalle esportazioni, infatti il suo surplus commerciale è diminuito di conseguenza. La particolarità di avere il più grande surplus commerciale, sia in termini assoluti che in rapporto al PIL, si sta spostando verso la Germania. Nel 2014, il surplus commerciale della Germania fu di circa $ 250 miliardi di dollari (in dollari), o quasi il 7% del PIL nazionale: una continua tendenza al rialzo che si sta manifestando a partire dal 2000.
Perché il surplus commerciale della Germania è così grande? Indubbiamente, la Germania sforna buoni prodotti che gli stranieri acquistano. Per tale ragione, i molti fattori [che contribuiscono a creare] il surplus commerciale [sono da considerare] come un segno di un successo economico. Tuttavia, anche altri paesi fanno buoni prodotti e non incorrono in così grandi eccedenze. Ci sono due ragioni più importanti per capire il surplus commerciale della Germania.
In primo luogo, anche se l’euro, la valuta che condivide la Germania con altri 18 paesi può (o non può) essere al giusto livello per tutti i 19 partner della zona euro, è troppo debole (considerato i salari e i costi di produzione tedeschi) per essere allineata con la bilancia commerciale tedesca. Nel mese di luglio 2014, il FMI stimò che il tasso di cambio (inflation adjusted) in Germania era sottovalutato del 5-15 % (vedi FMI, p. 20). Da allora, l’euro è sceso di un ulteriore 20 % rispetto al dollaro. L’euro relativamente debole è un vantaggio sottovalutato dalla Germania in quanto paese partecipe all’unione monetaria. Se la Germania utilizzasse ancora il marco tedesco, presumibilmente il DM sarebbe molto più forte dell’attuale euro, riducendo il vantaggio di costo in modo sostanzioso delle sue esportazioni.
In secondo luogo, il surplus commerciale tedesco è ulteriormente aumentato a causa di scelte politiche (per esempio di tipo fiscali restrittive) che sopprimono la spesa interna del paese, tra cui la spesa per le importazioni.
In un mondo a crescita lenta in cui viene a mancare la domanda aggregata, il surplus commerciale della Germania è un problema. Diversi altri membri della zona euro sono in profonda recessione, con un alto tasso di disoccupazione e senza “spazio di manovra fiscale” (il che significa che la situazione di bilancio non consente loro di aumentare la spesa o tagliare le tasse così da stimolare la domanda interna). Nonostante i segnali di ripresa negli Stati Uniti, al di fuori della zona euro, persiste a livello generale una crescita lenta. Il fatto che la Germania stia vendendo molto di più di quello che l’acquista devia la domanda dei suoi vicini (così come da altri paesi del mondo), riducendo l’output e l’occupazione al là dei confini tedeschi in un momento in cui la politica monetaria in molti paesi sta raggiungendo i suoi limiti.
Sproporzioni persistenti all’interno della zona dell’euro sono malsane, in quanto portano a squilibri finanziari nonché a una crescita non equilibrata. Teoricamente, la riduzione dei salari in altri paesi della zona euro, in rapporto a quelli tedeschi, ridurrebbe i costi di produzione relativi e aumenterebbe la competitività. E’ stato fatto un progresso su questo fronte, ma con l’inflazione della zona euro, ben al di sotto dell’obiettivo della Banca Centrale Europea, ossia “leggermente inferiore al 2%,” raggiungere la necessaria riduzione dei costi relativi richiederebbe probabilmente al di fuori della Germania una prolungata deflazione dei salari nominali. E’ ipotizzabile che in questo caso si assisterebbe a un processo lungo e doloroso che comporterebbe una protratta alta disoccupazione.
I sistemi con tassi di cambio fissi, come l’unione euro o il gold standard, hanno storicamente sofferto per il fatto che i paesi che presentano disavanzi della bilancia dei pagamenti sono posti sotto la pressione “correttiva”, mentre gli altri con avanzi non sono oggetto di un tale meccanismo. Il gold standard del 1920 fu abbandonato a causa della mancanza da parte dei paesi in surplus a partecipare in modo equanime al processo di aggiustamento. Come il FMI ha anche raccomandato nella sua relazione del luglio 2014, la Germania potrebbe contribuire a ridurre il periodo di aggiustamento nella zona euro al fine di sostenere la ripresa economica, adottando misure volte a ridurre il suo surplus commerciale, così come altri paesi della zona euro continuano a ridurre i loro deficit.
La Germania ha poco controllo sul valore della moneta comune, ma possiede diversi strumenti politici a sua disposizione per ridurre il suo surplus: strumenti che, anziché generare sacrificio, renderebbero la maggior parte dei tedeschi più ricchi. Ecco tre esempi.
- Investimenti in infrastrutture pubbliche. Gli studi dimostrano che la qualità delle infrastrutture tedesche, strade, ponti, aeroporti è in declino, e che tali investimenti li renderebbe migliori aumentando il potenziale di crescita. Nel frattempo, la Germania può prendere in prestito per dieci anni a meno di un quinto di punto percentuale, che, al netto dell’inflazione, corrisponde a un tasso reale negativo d’interesse. Gli investimenti in infrastrutture ridurrebbero il surplus tedesco, aumentando il reddito nazionale e la spesa, nonché l’occupazione e i salari.
- Aumentare i salari dei lavoratori tedeschi. I lavoratori tedeschi meritano un sostanziale aumento delle paghe, che si potrebbe concretizzare mediante un’attività di concertazione del governo tra datori di lavoro e i sindacati. Salari tedeschi più alti renderebbero più spedito sia l’adeguamento dei costi di produzione relativi sia l’aumento del reddito e [di conseguenza] il consumo interno. Entrambe le cose tenderebbero a ridurre il surplus commerciale.
- La Germania potrebbe aumentare la spesa internaattraverso riforme mirate, tra cui, ad esempio, un maggiore incentivo fiscale per gli investimenti privati domestici; la rimozione degli ostacoli alla nuova costruzione di alloggi; le riforme nei settori del retail e dei servizi; e una revisione dei regolamenti finanziari che possono influenzare le banche tedesche a investire all’estero piuttosto che in patria.
La ricerca di un migliore equilibrio degli scambi non deve impedire alla Germania di sostenere gli sforzi della Banca Centrale Europea per raggiungere il suo obiettivo d’inflazione, ad esempio, attraverso il suo programma di quantitative easing da poco iniziato. E’ vero che la politica monetaria più accomodante indebolirà l’euro, che di per sé tenderebbe ad aumentare piuttosto che ridurre il surplus commerciale della Germania. Ma una politica monetaria più rilassata ha due vantaggi compensativi: in primo luogo, un’inflazione più alta in tutta la zona euro rende l’aggiustamento dei salari relativi, necessari per ripristinare una competitività, più facile da conseguire, poiché la regolazione può avvenire attraverso una crescita più lenta, piuttosto che l’effettiva diminuzione dei salari nominali; e, dall’altro lato, le politiche monetarie di sostegno dovrebbero aumentare l’attività economica in tutta la zona euro, anche in Germania.
Questa primavera spero che i partecipanti alle riunioni di Washington riconosceranno che gli squilibri globali non sono solo una questione cinese e americana.
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