(by Lafayette)
ARCHIV – Alt-Bundeskanzler Helmut Schmidt (SPD) raucht am 16.11.2010 während der 17. Jahrestagung der deutschen Nationalstiftung im Axel Springer Gebäude in Berlin eine Zigarette. Foto: Wolfgang Kumm/dpa (zu dpa 0767 vom 01.09.2015) +++(c) dpa – Bildfunk+++
In gioventù non amai la figura di Helmut Schmidt, lo considerai un grigio socialdemocratico “normalizzatore”: il classico rappresentante di un “termidoro” storicamente successivo a una precedente fase di politica vibrante che, in quella occasione, venne incarnata da Willy Brandt. Vi era una sostanziale differenza di taglio politico tra i due che si rifletteva anche dal punto di vista biografico: Brandt preferì l’esilio piuttosto che vivere in una Germania hitleriana; Schmidt partecipò alla guerra come ufficiale della Luftwaffe. Tuttavia, ad essere onesti, è da sottolineare il fatto che il secondo ereditò dal primo una Germania (RFT) prostrata dalla crisi petrolifera; piagata dal terrorismo della Rote Armee Fraktion; sconcertata dallo scandalo (DDR) che coinvolse l’ex cancelliere. Quel periodo plumbeo della storia della RFT, che coincise parzialmente con il mandato di Schmidt (74/82), i commentatori del tempo lo definirono “l‘autunno tedesco”. Malgrado la sua bravura, Helmut Schmidt non riuscì a scaldare i cuori di quella gioventù europea, coeva al suo mandato, orientata a sinistra, la quale vedeva in lui “un convinto nuclearista”, un acquiescente alleato degli USA, ed infine un nemico della pace, rispetto a cui la sua sollecitudine nel perorare la causa per l’istallazione dei missili balistici americani sul terreno europeo in risposta agli SS 20 sovietici, pareva che ne desse un ampio riscontro. Poi, quando il governo Schmidt fu” tradito” dai liberali e cadde in parlamento, egli, anziché ritirarsi a vita privata, si rigettò nell’agone politico non più sotto la veste di attivo partecipante ma di critico commentatore. Per la generazione a cui appartengo il “nuovo” Schmidt fu una grande sorpresa. Per prima cosa, grazie a lui, capimmo – ormai non più giovani – che filosofare in politica è una cosa ben diversa da quella di governare; secondariamente ci rendemmo sempre più conto, leggendo i suoi saggi, spulciando tra le sue interviste, che – diversamente a quanto si pensasse – egli rappresentò il vero baluardo europeo contro la minaccia sovietica e il goffo interventismo americano. Schmidt fu uno dei giganti che credette veramente nella rinascita della vecchia Europa e che vide nella sua Germania il motore di questa, come elemento di “compensazione” per le brutture che il suo paese le inferse nel corso del 900. Schmidt fu un politico pragmatico, conscio dei propri limiti operativi temporali, stretto tra le ambizioni geopolitiche di due colossi contrapposti, contro le quali si differenziò nel combatterle rispetto all’incauto idealismo di Brandt, che per vanità finì poi per scivolare su una buccia di banana. Schmidt, il pratico e l’apparente “scialbo” amburghese, attuando una politica di compromesso tra i due blocchi, fu uno tra i pochi che credette sinceramente nella realizzazione di una comune casa europea. Non a caso negli ultimi anni della sua presenza pubblica fu assai critico nei confronti di una Germania egoista che si compiaceva del suo successo, non smettendo mai di ammonire – tra le sue 40 sigarette al mentolo quotidiane – l’establishment tedesco che senza una forte Europa non ci sarebbe mai stata una forte Germania. Lo Schmidt, ex ufficiale della Wermacht, sapeva bene quello che diceva.
Martedì 23 Novembre, si celebrerà l’ufficio funebre dell’ultimo dei giganti europei.
Riporto qui il lungo omaggio estratto dal Der Spiegel. Ho selezionato solo la parte che commenta la figura umana di Helmut Schmidt.
What Helmut Schmidt Meant to Germany and the World
(By Hartmut Palmer and Gerhard Spörl)
Egli era rispettato come cancelliere e adorato come anziano statista. La lunga e intensa vita di Helmut Schmidt fece di lui una storica figura. Un uomo che ha trasformato la Germania con le sue azioni e le sue parole.
Cosa rimane di lui? Come sarà ricordato dai tedeschi? Helmut Schmidt pensava a queste domande, anche quando rivestiva ancora la carica di cancelliere. Era il dicembre del 1977 e si trovava di fronte alle Tombe dei Nobili a Luxor, in Egitto, a quel patrimonio mondiale dell’UNESCO antico di 3.000 anni che impone riverenza.
Poco prima che Schmidt arrivasse in Egitto, egli giocò un ruolo chiave in uno storico dramma. A Mogadiscio, le forze speciali GSG-9, per ordine di Schmidt, ebbero appena liberato tutti i passeggeri presi in ostaggio all’interno dell’areo dirottato Landshut della Lufthansa. Fu un grande trionfo. Ma la mossa volle dire anche sacrificare la vita del presidente della Confederazione delle Associazioni dei datori di lavoro tedeschi, Hanns-Martin Schleyer, agli interessi della Germania. Costui fu rapito dalla gruppo terroristico di estrema sinistra Rote Armee Fraktion, che fu strettamente collegato ai dirottatori del jet Lufthansa, e il raid a Mogadiscio causò direttamente l’omicidio di Schleyer.
Anche allora, seguendo quello che divenne noto come l’autunno tedesco, Schmidt era ben voluto dall’elettorato del suo paese. Aveva un profilo significativo a livello internazionale: rispettato e stimato a Parigi, Londra e Washington. Era un cancelliere erudito, conscio della sua grandezza sebbene afflitta da arroganza, ma contemporaneamente un uomo che sembrava anche stranamente limitato.
Dopo tutto, pareva al momento come se egli fosse stato schiacciato dagli eventi politici del giorno. Stava disperatamente lottando per mantenere il numero di senza lavoro inferiore a 1 milione e il tasso di inflazione sotto il 4%. Come, in una tale situazione, la storia l’avrebbe giudicato? “Come una nota a piè pagina, al massimo,” egli disse scherzando amaramente dopo la sua visita alle tombe, mentre era seduto insieme con i suoi fidati collaboratori in quella sera in hotel al New Winter Palace.
Tale valutazione, pur provenendo da un uomo che era spesso posizionato a destra, alla fine si rivelò drammaticamente errata. Schmidt, scomparso il martedì pomeriggio, all’età di 96 anni nella sua casa nel quartiere di Langenhorn di Amburgo, fu molto più di una nota a piè pagina. In effetti, la storia del dopoguerra della Germania gli deve diversi capitoli. Nessun tedesco vivente è stato oggetto di una maggiore ammirazione e di rispetto in patria e all’estero negli ultimi anni. La risposta alla sua scomparsa fornisce un’ulteriore prova di questo fatto. Non c’è quasi un alto funzionario, un Capo di Stato o di governo, che non abbia onorato il contributo fattivo di Schmidt. Nei social networks, milioni di persone hanno tributato i loro omaggi.
Un Helmut Schmidt appare circa una volta in un secolo. Quando è nato il 23 dicembre 1918, l’Impero tedesco aveva appena cessato di esistere. Nella sua gioventù, la Germania di Hitler stava cercando di stabilire un impero globale per mezzo della guerra e del fanatismo razziale. Quando studiava all’università, due nuove potenze globali apparsero: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, mentre Mao fondava la Cina moderna. Nove anni dopo la fine del suo mandato come cancelliere, il nuovo ordine mondiale crollò insieme con l’Unione Sovietica.
La reputazione internazionale
Nei suoi scritti successivi, Helmut Schmidt “passeggiò” attraverso i decenni, gettando luce sulle prospettive dei cinesi, dei russi, degli americani e dei tedeschi. Il mondo è stato il suo palcoscenico, anche se, biograficamente e culturalmente, fu tedesco in tutto e per tutto. Un protestante di Amburgo, che fu un ufficiale nella seconda guerra mondiale; nel dopoguerra un socialdemocratico con tendenze autoritarie. Egli coltivava grandi aspettative riguardo a sé stesso. Fu fino alla fine un tedesco di fama internazionale.
Ironia della sorte, era più vicino ai tedeschi negli ultimi anni più di quanto non fosse stato come cancelliere. Come co-editore dell’influente settimanale Die Zeit, a cui fornì il suo contributo l’anno dopo aver lasciato la Cancelleria, sferzò parole taglienti per condannare la vendita di armi tedesche all’estero, che scosse le nervature della Germania. Nessuno sembrava più interessarsi in che modo avesse affrontato il problema quando rivestì la carica di cancelliere. Egli biasimò anche le sanzioni contro la Russia in risposta all’annessione di Mosca della Crimea come “una mossa stupida” e derise l’Occidente per essere stato provocato dalla Russia. Elogiò Angela Merkel per la cautela con cui si approcciava al Presidente russo Vladimir Putin. E Schmidt, l’ex ufficiale della Wehrmacht che servì sotto Hitler, si trasformò in un pacifista che aspramente criticò la partecipazione tedesca nelle guerre in Kosovo e in Afghanistan.
Tali opinioni conquistarono i giovani e gli anziani. Aveva l’aura di qualcuno che avesse maturato le sue posizioni prima di divulgarle pubblicamente. Egli era composto, e non gli importava alcunché di cosa pensassero gli altri delle sue idee. E’ da sottolineare che ciò è sempre più una rarità in politica, dove le manifestazioni d’intenti dei protagonisti sono spesso il risultato derivato dai sondaggi. Eppure, ottenne una grande soddisfazione dalla sua notevole popolarità acquisita nel suo tardo periodo di vita. Helmut Schmidt come una pop star? Chi l’avrebbe mai pensato che fosse possibile una cosa del genere? Egli stesso meno di tutti.
Negli ultimi due decenni della sua vita, i tedeschi videro anche in lui un modello su come condurre una vita soddisfacente in età avanzata. Non c’è nessuno che non avrebbe voluto essere come lui mentalmente acuto ed energico durante quella fase avanzata della vita quando il bastone da passeggio diventa un compagno abituale. Anche se il suo corpo divenne fragile nel corso degli anni, la sua mente rimase tagliente. Le sue formulazioni erano così puntuali come sempre, e i suoi pungenti commenti non mancavano mai di divertire gli ascoltatori e gli spettatori. Quando lo si guardava in televisione o sul palco, era impossibile non essere stupiti riguardo alla discrepanza tra il suo corpo e la sua giovane età mentale. Nel corso delle sue molte apparizioni rivelava un chiaro messaggio, ossia: che l’intelletto possa trionfare su un fisico indebolito.
Briglie sciolte per Helmut Schmidt
Ma era solo un dei tanti messaggi. Schmidt s’impegnava a rispondere ad ogni domanda che gli veniva posta, in particolare quando le disapprovava perché formulata da un intervistatore verso il quale si palesava la mancanza di conoscenza o un’inadeguata consapevolezza storica o politica. Una circostanza che egli trovò particolarmente diffusa nel giornalismo televisivo. In quei momenti, egli rispondeva in modo esaustivo o diversamente taceva sull’argomento con un silenzio scontroso.
Durante le sue apparizioni televisive o in occasione di eventi organizzati dal Zeit Die, il pubblico era sempre presente nell’angolo dedicato a Helmut Schmidt. Egli poteva fare tutto quello che voleva. Poteva accendersi una sigaretta, non importa dove si trovasse; poteva rispondere a domande in modo esaustivo o dare risposte brevi; poteva navigare nei suoi ricordi o “leggere a qualcuno il bando”. Helmut Schmidt aveva libero sfogo, perché era sempre avvincente.
Recentemente, però, la vita gli era diventata un peso. Anche l’età cominciava a farsi sentire. Da quando non poté udire bene indossava grandi cuffie durante le sue apparizioni in modo da poter ascoltare le domande dell’intervistatore. Le sue gambe persero forza, tanto che spesso si dovette accomodare su di una sedia a rotelle. Quando veniva applaudito, spesso si comportava come se non si fosse accorto. Avrebbe semplicemente acceso una sigaretta al mentolo, inclinato la testa di lato nell’attesa delle successive domande, spesso [formulate] dal suo intervistatore preferito, l’Editor-in-Chief del Die Zeit, Giovanni di Lorenzo. Nelle ultime settimane della sua vita, Schmidt non riusciva nemmeno più a raccogliere le sue forze, o avere il desiderio, di fumare. A quel punto, non era più l’uomo brillante che una volta disse: “Sono necessarie passione e sigarette“.
Schmidt, il pragmatico e cancelliere, aveva una grande considerazione per i tedeschi. Ma i suoi connazionali hanno solo imparato ad amarlo molto più tardi, soprattutto in confronto con la generazione odierna dei politici, tanto che diventando sempre più vecchio ad un certo punto improvvisamente si trasformò in un’icona. Questo fu un fatto che gli diede un particolare piacere. Era sempre stato estremamente capace e fedele verso le sue convinzioni (e faceva in modo che quel mondo, che non necessariamente volesse sentirlo gli giungesse ugualmente il suo pensiero), cosicché divenne l’unico “tesoro” della nazione alla stregua di un grande saggio.
Eppure, non fu davvero che Schmidt cambiò. Piuttosto, fu la realtà [a farlo] su cui in modo assertivo profferì giudizi. E poiché ai leader politici come Angela Merkel e al Vice Cancelliere Sigmar Gabriel sembrava che mancassero di convinzione nel risolvere [le questioni] in questa epoca di globalizzazione e di crisi economica globale, in contrasto Helmut Schmidt divenne l’incarnazione di un limpido pensiero espresso in un franco modo di parlare………
……… Nel gennaio 1978, dopo che Schmidt si fermò ad ammirare le piramidi in Egitto tornò a Bonn con l’idea di creare piccoli monumenti per ogni cancelliere tedesco. Non intendeva erigere piramidi, ma piuttosto un albero piantato per la loro memoria in modo che almeno qualcosa di loro sarebbe vissuto nel tempo. Qualcosa di modesto, adatto per un paese nato dalle rovine della guerra.
Per Konrad Adenauer, il cancelliere fondatore della Germania Ovest venne piantato un albero di paulonia di fronte al Schaumburg Palace di Bonn, la sede ufficiale del cancelliere. Per Ludwig Erhard, il cancelliere che rimase in carica per un breve periodo e padre del miracolo economico della Germania, fu commemorato con una sequoia. Il dimenticato Kurt Georg Kiesinger, il cancelliere della prima grande coalizione, che era ancora vivo in quel momento, scelse un acero dalle foglie rosse. Il meditabondo Willy Brandt, che aveva ben pochi dubbi circa la sua grandezza storica, piantò un albero di gingko, un simbolo di vita eterna. Alla fine anche Schmidt sradicò un albero dal parco della cancelleria. Avrebbe potuto scegliere una nodosa quercia tedesca o forse una torreggiante conifera douglas, invece scelse un triste salice piangente.
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