(di Paul Krugman- da http://www.nytimes.com)-
A differenza di Joseph Stiglitz, il quale introdusse l’argomento Grecia con una premessa etica sulla equiparazione di responsabilità tra creditore e mutuatario, Paul Krugman affronta lo spinoso tema con un preambolo storico, equivalendo la prima drammatica “catarsi” tedesca post-bellica con l’altrettanto disperata situazione economica sociale che oggi sta fustigando la nazione ellenica. Il premio Nobel di Albany, dalla sua nota rubrica ospitata dal New York Times, snocciola in pillole un rapido corso in macroeconomia con il suo stile asciutto per nulla prosaico a cui va aggiunto la sua indubbia efficacia divulgativa. La capacità di Krugman sta proprio in quella dote tipica dei grandi maestri – che fu anche il talento di Keynes – ossia quella di rendere immediatamente intellegibile anche le questioni più complesse e dibattute. In modo sintetico e pragmatico si sofferma ad analizzare le condizioni reali. Evita con accuratezza d’infiorettare le sue tesi con panegirici retorici e segnatamente non ci strapazza con analisi quantitative spesse volte tanto inutili quanto auto celebrative. Egli, fra tutti i keynesiani, è il più aderente allo spirito dell’economista di Cambridge, non solo perché ne condivide il taglio dottrinale, ma soprattutto per quella sua logica espositiva attraverso cui lo enuncia. L’acrimonia nei suoi confronti è ben nota e ciò deriva dal fatto che Krugman denunciò in anticipo molte di quelle anomalie che concorsero a creare l’attuale situazione d’instabilità dei mercati finanziari entro la quale ci stiamo ancora dibattendo, non facendosi scrupolo di sbugiardare a posteriori con la sua feroce sintassi i suoi detrattori. Qualora l’Europa non accettasse il compromesso avanzato dai Greci e nel contempo rispedisse al mittente i suggerimenti di Krugman, per altro fino a ora dimostratisi attendibili, allora suppongo che ci si dovrebbe seriamente preoccupare per la futura tenuta sociale e politica dell’Unione Europea e dell’Euro come suo simulacro. Temo, come affermò recentemente il Nobel di Princeton che camminando lungo il “sentiero” della “complacency” (la compiacenza) dei presunti “saggi” ci si diriga immancabilmente verso il burrone.
Buona lettura
Lafayette
Feb. 16, 2015 Paul Krugman
Provate a parlare di politiche di cui abbiamo bisogno in un’economia mondiale depressa, qualcuno sicuramente vi contrasterà con lo spettro della Germania di Weimar, presumibilmente [vi impartirà] una lezione pratica sui pericoli del deficit di bilancio e sull’espansione monetaria. Ma la storia della Germania successiva alla prima guerra mondiale è stata quasi sempre citata in modo curiosamente selettivo. Sentiamo continuamente [parlare] della iperinflazione del 1923, quando la gente trascinava carriole piene di denaro, ma non abbiamo mai sentito argomentare sulla molto più rilevante deflazione dei primi anni 30, quando il governo del Cancelliere Brüning – dopo aver imparato le erronee lezioni – cercò di difendere la parità aurea del marco mediante una politica monetaria restrittiva, accompagnata da una severa austerità. [Inoltre, si omette] ciò che è accaduto prima dell’iperinflazione, quando gli Alleati vittoriosi cercarono di costringere la Germania a pagare ingenti risarcimenti. Questo è uno scenario che ha un suo attuale grado di pertinenza, poiché configura un impatto diretto sulla crisi che ormai ribolle in Grecia.
La questione, ora più che mai, è fondamentale per i leader europei affinché essi si ricordino del reale corso degli eventi passati. Se non lo fanno, il progetto europeo di pace e di democrazia attraverso la prosperità non sopravvivrà. A proposito di quelle riparazioni, sappiamo che il fulcro della storia riguarda la Gran Bretagna e la Francia, le quali, invece di considerare come un potenziale partner la nascente democrazia tedesca, trattarono [la Germania] come un nemico vinto, chiedendole che si facesse carico dei loro danni di guerra. Questa imposizione fu profondamente avventata in quanto risultò impossibile da poter onorare per due motivi: in primo luogo, l’economia tedesca era già stata devastata dalla guerra; in secondo luogo, quel pesante fardello imposto su di un’economia ridotta al lumicino fu di gran lunga superiore ai pagamenti diretti sanzionati dai vendicativi alleati, come del resto John Maynard Keynes spiegò nel suo critico e esauriente pamphlet “Le conseguenze economiche della pace“. Alla fine, e inevitabilmente, le somme effettivamente riscosse dalla Germania furono ben al di sotto delle richieste alleate. Ma il tentativo d’imporre tributi a una nazione in rovina – incredibilmente, la Francia invase e occupò la Ruhr, il cuore industriale della Germania, nel tentativo di estorcere il pagamento – paralizzò la democrazia tedesca e avvelenò le relazioni con i suoi vicini.
Detto ciò, [tali avvenimenti] ci conducono all’attuale confronto tra la Grecia e i suoi creditori. [Ovviamente] si può sostenere che la Grecia fu la causa dei suoi problemi anche se ebbe un notevole “aiuto” da istituti di credito irresponsabili. Però, a questo punto, il fatto di cui si deve tenere conto è che la Grecia non può pagare tutti i suoi debiti. L’austerità ha devastato la sua economia così a fondo quanto la sconfitta militare rovinò la Germania. Il PIL ellenico reale pro capite è sceso del 26% dal 2007 al 2013, a fronte di un calo del 29% di quello tedesco dal 1913 al 1919. Nonostante questa catastrofe, la Grecia sta onorando i pagamenti ai creditori, da cui [si rileva] un avanzo primario – un surplus di entrate correnti rispetto alle spese correnti dedotti gli interessi – di circa il 1,5% del PIL. Il nuovo governo greco è disposto a continuare a mantenere tale eccedenza. Quello che non è disposto a fare è soddisfare le richieste dei creditori triplicando il suo surplus, e continuando a mantenere tale enorme eccedenza per molti anni a venire. Che cosa accadrebbe se la Grecia dovesse cercare di far fronte a quel enorme impegno?
Dovrebbe tagliare ulteriormente la spesa pubblica, ma anche facendo ciò, la storia non sarebbe finita. I tagli alla spesa hanno già spinto la Grecia in una depressione profonda, e ulteriori riduzioni non farebbero altro che renderla ancora più profonda. Il tracollo dei redditi significherebbe il calo delle entrate fiscali, cosicché il deficit si ridurrebbe di molto meno rispetto alla riduzione iniziale della spesa, probabilmente meno della metà. Quindi, per raggiungere il suo obiettivo, la Grecia dovrebbe fare un altro giro di tagli, e poi un altro ancora. Inoltre, una contrazione dell’economia farebbe declinare anche la spesa privata e ciò non sarebbe che un altro costo indiretto dell’austerità. Se si mette tutto insieme, in aggiunta al tentativo di farle cacciare il 3% extra del PIL che i creditori chiedono, costerebbe alla Grecia non il 3%, bensì qualcosa come l’8% del PIL Si rammenti, [che un tale epilogo] verrebbe a posizionarsi sul vertice di una delle peggiori crisi economiche della storia. Che cosa accadrebbe se la Grecia semplicemente si rifiutasse di pagare?
Beh, le nazioni europee nel 21° secolo non fanno marciare i loro eserciti, come esattori. Tuttavia, ci sono altre forme di coercizione. Ora sappiamo che nel 2010 la Banca Centrale Europea ha minacciato, di far collassare il sistema bancario irlandese, a meno che Dublino accettasse un programma del Fondo Monetario Internazionale. La minaccia di qualcosa di simile incombe implicitamente sulla Grecia, anche se la mia speranza è che la banca centrale, attualmente gestita con una mentalità diversa e più aperta [rispetto alla precedente], non procederebbe in tal senso. In ogni caso, i creditori europei dovrebbero rendersi conto che la flessibilità – dare alla Grecia una possibilità di recuperare – è nel loro stesso interesse. Essi potrebbero anche non amare il nuovo governo di sinistra, ma è un governo regolarmente eletto, i cui leader sono, in base a quello che ho sentito dire, sinceramente impegnati a [rispettare] gli ideali democratici. L’Europa potrebbe fare molto peggio, e se i creditori sono vendicativi, lo farà.
A version of this oped appears in print on February 16, 2015, on page A17 of the New York edition with the headline: Weimar on the Aegean
http://www.nytimes.com/2015/02/16/opinion/paul-krugman-weimar-on-the-aegean.html?ref=opinion&_r=0
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