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Perché abolire la Tasi non è di sinistra

10 Settembre 2015 by Redazione Lascia un commento

(di Chiara Saraceno- da www.rivistailmulino.i)-

La rivista il Mulino: Perché abolire la Tasi non è di sinistra

Abbassare le tasse è di sinistra? Dipende, dal tipo di tassa e da chi è tenuto a pagarla. Le tasse, infatti, non sono tutte uguali. Riguardando beni diversi e hanno anche effetti differenti per  gli individui e gruppi sociali coinvolti. Possono avere effetti redistributivi in direzione da chi ha di più a chi ha di meno, ma anche viceversa. Possono ridurre le disuguaglianze o invece allargarle. Quando si decide di introdurre o diminuire una tassa, perciò, occorre valutarne attentamente gli effetti redistributivi e sulla disuguaglianza. Ad esempio, spostare la tassazione dal reddito (e la ricchezza) ai consumi, come viene spesso suggerito (anche da Bruxelles), per essere efficace in termini di entrate per l’erario, dovrebbe riguardare innanzitutto i beni di largo consumo, non quelli di lusso. Quindi finirebbe con il colpire  di più i ceti economicamente più modesti, con il risultato di peggiorarne le condizioni e di allargare le disuguaglianze. Anche l’eliminazione  delle tasse di successione per gli eredi diretti fino alla soglia di un milione di euro avvenuta in Italia  è un chiaro esempio di  contro distribuzione, visto che ne beneficia maggiormente chi eredita di più.

Lo stesso avverrà con l’annunciata eliminazione di Tasi sulla prima casa. Secondo le stime di Nomisma, due terzi delle famiglie italiane proprietarie della propria abitazione  risparmieranno mediamente 204 euro, circa 17 euro al mese: una goccia per i bilanci famigliari che certamente poco aiuterà a fare aumentare i consumi o i risparmi. Ma per quelle più ricche il risparmio potrebbe arrivare fino a  circa 2.000 euro. Gli affittuari, tra i quali sono concentrati gli individui e le famiglie più povere, invece non risparmieranno nulla, pur non avendo, a differenza dei proprietari, il possesso del bene casa. Mentre i proprietari diminuiranno, di poco o tanto, i propri costi abitativi mantenendo il proprio capitale, gli affittuari  continueranno solo a spendere senza che ciò serva ad accumulare ricchezza.

Non solo, dato che le tasse sulla casa sono l’introito principale dei comuni (tanto più dopo la forte riduzione dei trasferimenti dal centro avvenuta negli ultimi anni), cui ricorrono per finanziare servizi di vario tipo, è facile prevedere che saranno proprio i ceti più modesti a subirne il contraccolpo, a causa vuoi della riduzione dei servizi, vuoi del loro peggioramento o dell’aumento del loro costo, quando non di tutte e tre le cose insieme. Renzi promette che compenserà i comuni per la perdita dell’entrata, ma non è chiaro con quali risorse e con quali riduzioni su altri fronti, in un contesto in cui la coperta è già troppo corta e importanti bisogni già non vengono soddisfatti. Per citarne uno solo, ma assai rilevante, continua a mancare in Italia un sostegno al reddito di chi si trova in povertà.

Per spiegare la decisione di eliminare la Tasi, il presidente del Consiglio ha detto che essa è percepita dagli italiani come “la” tassa. Renzi ha ragione, ma proprio per questo prima di eliminarla dovrebbe chiedersi perché i suoi concittadini siano così sensibili su questo punto. È l’unica imposta che in un paese con un elevato tasso di evasione fiscale come il nostro è difficile non pagare perché la casa di proprietà in cui si abita è l’unico bene che non si può nascondere. Si può, si deve, fare la riforma catastale per definire con maggiore appropriatezza il valore degli immobili; si devono considerare i casi in cui si ha la casa di proprietà da una parte, ma si è costretti ad abitare da un’altra (senza affittare la prima), tenere conto dell’ampiezza della famiglia e così via.

L’imposta va mantenuta non perché l’Europa si oppone alla sua eliminazione, ma perché eliminarla sarebbe semplicemente iniquo.

Se si vogliono davvero abbassare le tasse per sostenere i consumi mantenendo l’ottica dell’equità meglio abbassare le tasse sul reddito da lavoro, per tutti, lavoratori dipendenti e non, fiscalmente capienti e incapienti, correggendo l’ingiustizia degli 80 euro  dati solo ai lavoratori dipendenti fiscalmente capienti. Anche l’economista inglese Tony Atkinson, grande studioso delle disuguaglianze, nel suo ultimo libro su questo tema (in uscita in Italia da Cortina) mette il  mantenimento della imposta sulla prima casa e nello sconto fiscale sul reddito da lavoro (e il mantenimento delle imposte di successione) nell’elenco delle quindici cose necessarie e fattibili appunto per la riduzione della disuguaglianza.

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