(intervista rilasciata da Arturo Parisi per il fatto quotidiano-da http://www.ilfattoquotidiano.it/)-
Le coincidenze della politica. Il professore Arturo Parisi, non più in Parlamento dal 2013, ricorda i vent’anni dell’Ulivo e i dieci delle primarie in un frangente particolare: le riforme renziane al Senato e il Patto del Nazareno contro Prodi al Quirinale. L’effetto è pirotecnico.
Com’è la sua vita senza il Parlamento?
“Non penserà che mi possa mancare il Transatlantico dei passi perduti, i suoi divani e il cortile dei fumatori, le logoranti attese di decisioni prese sulla nostra testa. O a mancarmi sia invece il dito del capogruppo che in Aula ci indicava il tasto da premere per dare esecuzioni a decisioni d’altri. No. Anche se lo Statuto mi avrebbe consentito di restare, mi sarei dovuto semmai evitare anche l’ultima legislatura. Otto anni erano già allora sufficienti per capire che una fase era finita.”
Niente nostalgia?
“Sì, la nostalgia del futuro. Quella che risento ancora dentro quando mi imbatto nelle note della Canzone popolare, il canto che diede voce alla nostra speranza negli anni dell’Ulivo. Un canto all’altezza di quelli che in un lontano passato avevano annunciato altre speranze e altre passioni.”
La sua giornata?
“Ragionando e scrivendo attorno alla politica e alla società. Da cittadino attivo. Come lungo tutta la mia vita da professore. Alla ricerca delle radici dei fatti, pensando al che fare. Con un carico in più. Fare i conti con l’esperienza diretta di questo ventennio infinito.”
Vent’anni fa quando inventaste l’Ulivo?
“Ventanni, da quando nel ’94 la sgangherata vittoria di Berlusconi impose la necessità dell’Ulivo. Necessità, non invenzione. “O di qua, o di là” ci chiese Berlusconi. Ed aggiunse: di qua ci sono io, chi c’è di là? Ci mettemmo due anni per rispondere insieme: l’Ulivo! Paradossale se si pensa che ad aprire con il referendum la sfida per il cambiamento eravamo stati noi, non lui.”
Dieci anni dopo, fu il turno delle primarie. Cosa ricorda?
“Assieme alla speranza, ancora la fatica. Non bastava dire Ulivo se poi non riuscivamo a condividere indivise neppure le cose indivisibili come il leader e il programma, che nel centrodestra erano assicurati dal comando padronale di Berlusconi.
Sono esattamente dieci anni, quando, il 26 luglio del 2004, lanciammo a Padova con Prodi la sfida che con l’indimenticabile festa dell’ottobre del 2005 aprì la strada alle primarie. Vi ringrazio, disse Prodi, rivolgendosi ai capipartito, dell’invito a guidarvi nelle elezioni che ci attendono tra due anni. Ma è bene che questa decisione la prendano tutti assieme i nostri elettori attraverso primarie aperte sulla base di un confronto tra proposte alternative.”
“Capipartito”, tono amaro.
“Mi faccia continuare: “Come no?” Dissero subito tutti. Facciamo pure queste primarie che piacciono tanto a Parisi, facciamolo pure presidente del comitato per le regole. Per poi aggiungere, soprattutto dopo l’imprevista vittoria di Vendola nella prima sperimentazione del gennaio del 2005 nelle primarie pugliesi, ma perchè mai dividerci se siamo già tutti d’accordo, e poi perchè scomodare i cittadini se ci siamo già noi a dirtelo a nome loro?
La stessa resistenza, lo stesso istinto oligarchico, che è sopravissuto nel tempo fino ad oggi. “È tutto molto semplice” ha detto recentemente Franceschini. “Se c’è un accordo non si fanno le primarie, se l’accordo non c’è si fanno”. Accordo tra chi?”
Lei è il professore che ha cambiato il centrosinistra.
“Diciamo che avevo capito, come tanti, che una società era finita, e assieme a pochi ho lavorato perchè la politica ne prendesse atto. Assieme alla società era cresciuta nel tempo un domanda di democrazia diretta e di partecipazione efficace che i vecchi partiti non riuscivano più a trasformare in delega. La Repubblica dei partiti non poteva sopravvivere alla fine della società che li aveva generati. Ma starei attento a parlarne al passato come di una impresa compiuta.”
E’ stato D’Alema il suo grande avversario, che ancora oggi rivendica il primato dei partiti?
“D’Alema preferisco ricordarlo come collega di governo, lui agli Esteri ed io alla Difesa, quando, ad esempio sul rientro dall’Iraq e l’intervento in Libano, ci passavamo la palla ognuno con la certezza che avrebbe trovato l’altro laddove lo aspettava. Purtroppo nella politica è stato invece il massimo avversario delle nostre speranze. Più nell’azione che nelle idee dove ha preferito negarsi al confronto. Come tutti i conservatori D’Alema pensa che dei problemi esista solo una soluzione. Solo i dilettanti, i democratici, i riformisti, e gli imbroglioni possono dire il contrario. È a questo che secondo lui servono i professionisti, a difenderci dalla loro confusione mentale e dai loro imbrogli.”
I 101 anti-Prodi per il Quirinale sono il fallimento di questi venti anni?
“No, è la contraddizione eccessiva tra il cambiamento a parole e la continuità nei fatti. La stessa contraddizione che ritroviamo tra la falsità e il conformismo dei voti palesi e la “franchezza” e la libertà dei voti segreti. Ma non vede negli organi di partito i voti “bulgari” che applaudono le relazioni del segretario di turno. Se la democrazia proposta da un partito all’esterno fosse quella praticata all’interno ci sarebbe veramente da preoccuparsi.”
Senza le primarie non ci sarebbe stato mai Renzi. Ora si sente come l’inventore di Frankenstein?
“Che senza le primarie Renzi non sarebbe dov’è, mi sembra indiscutibile. Ed altrettanto che lui ha interpretato e colto come nessuno prima la loro natura e funzione. Ma più che a Renzi nel sostenerle pensavo e penso al successore di Berlusconi. Senza competitori che competano credibilmente per il governo addio democrazia competitiva, o, se più piace, addio democrazia. Ma come dare al centrodestra un Berlusconi democratico per una via diversa dalle primarie? E come dare poi un successore allo stesso Renzi senza uno che si senta autorizzato ad alzare la mano per dire: io, io sono qua. Tranquillamente, alla luce del sole. Esattamente come ha fatto lui. Ecco perchè seguo con ansia il carro traballante delle primarie che proprio in questi giorni nelle diverse regioni cerca di mettersi in moto tra mille resistenze.”
Renzi e il Condannato hanno fatto un patto segreto per cambiare la Costituzione.
“Guardi, sulla necessità di un confronto non ho avuto mai dubbi. Lo scrissi nel 1995 nella prima riga della prima scheda del programma dell’Ulivo della quale avevo personalmente la responsabilità. La Costituzione è “un patto da scrivere assieme”. E Berlusconi non era allora migliore di oggi. Lo riscriverei perciò anche oggi, alla luce del sole. Quella che mi preoccupa è la rottura del confronto con le altre forze parlamentari. Sul contenuto della decisione si può anche dissentire. È la democrazia. Ma non su che cosa decidere. Non possiamo permetterci che la nuova Costituzione passi senza il voto di tutti, e approvata dai rappresentanti di una larga maggioranza degli elettori. Soprattutto in un Parlamento che la Corte ha riconosciuto figlio di una legge incostituzionale.”
Tra le riforme del patto è prevista, di fatto, l’impossibilità di fare un referendum abrogativo della legge elettorale.
“Mi ha preceduto. Come sa recentemente ho richiamato con Segni l’attenzione su questo rischio e quindi invitato il governo a sostenere l’emedamento Tonini-Gotor che ci difende dal rischio che l’Italicum finisca blindato al riparo da ogni possibile referendum per oggi e per domani. Sarebbe inaccettabile. Il referendum confermativo, che Renzi ha dato per sicuro anche a costo che sia il Pd a fare mancare i 2/3, finirebbe per essere così l’unica e ultima arma per difendersi dalla nuova legge elettorale. L’unica per i nemici della riforma ma anche per quelli della sola legge elettorale. Sai che bello, se dopo tutta queste lacerazioni una bocciatura popolare finale ci riportasse ancora una volta alla casella numero uno?”
Democrazia autoritaria?
“Mi faccia innanzitutto dire che son convinto da sempre della necessità di superare il bicameralismo paritario e di governi più stabili e forti. Ma col bilanciamento di assemblee rese egualmente forti dalla legittimazione di un voto popolare. Mi sembra perciò paradossale che la Camera non elettiva sia finita composta da eletti, e inaccettabile che quella elettiva sia fatta di nominati.”
Monti, Letta, Renzi: a palazzo Chigi senza elezioni. C’è stata una dittatura di Napolitano?
“Misurerei le parole. Di certo è da troppo che siamo in uno stato d’eccezione. È per questo che ho ripetuto più volte che, dopo la sentenza della Corte non c’erano più le condizioni per portare a compimento la legislatura come se niente fosse, e, dopo le riforme, si debba puntare ad andare al più presto alle elezioni.”
Vorrebbe ancora Prodi al Quirinale, nonostante il patto del Nazareno?
“Diciamo che è difficile negare che la sua esperienza e la sua autorevolezza internazionale può essere per l’Italia di grandissimo aiuto in un passaggio come quello presente. Quanto poi alle possibilità concrete non credo che ci sia bisogno di un patto segreto per immaginare le preferenze di Berlusconi al riguardo.”
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