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Renzi: “Jobs… che?”

13 Gennaio 2014 by Redazione Lascia un commento

(di Lucio di Gaetano – www.ilfattoquotidiano.it)- Ho fatto una gran fatica a decidere se scrivere o no un pezzo sul “Jobs Act” di Matteo Renzi.

E non perché il primo vagito ufficiale del neo-segretario del Pd non meriti una menzione, anzi. Il vero problema è che leggendolo mi si è parato davanti il seguente interrogativo: e mò che scrivo?

Si perché, parliamoci chiaro, molti degli obbiettivi contenuti nella “enews” pubblicata l’8 gennaio sono condivisibili: chi non vorrebbe che l’energia costi meno? Chi non vorrebbe una macchina pubblica meno impastoiata dalla burocrazia? Chi non vorrebbe maggiore trasparenza? Chi non vorrebbe un minor numero di contratti di lavoro (a proposito, qualcuno avvisi Marianna Madia che le tipologie di contratto non sono 40 ma al massimo 15, come spiega Pietro Ichino)? Il punto è che nulla si dice su come arrivare a certi risultati, nulla si dice su quante risorse impiegare per arrivarci e, soprattutto, nulla si dice su dove reperirle.

Insomma il “Jobs Act” è un favoloso condensato di chiacchiere e banali ovvietà.

A questo punto avrei anche finito di scrivere: la redazione però mi ha spiegato che ogni post dev’essere all’incirca di 4500 caratteri (spazi inclusi, per fortuna) e allora, dopo approfondita riflessione, ho deciso che il mio commento non sarà il solito noioso pezzo di economia, ma un articolo sulle tecniche di scrittura: un’indagine su come sia possibile propinare a elettori e giornalisti 2.133 parole senza dire assolutamente nulla e senza farli infuriare.

Dall’attenta lettura del testo pubblicato l’8 gennaio ho quindi tratto per deduzione le 7 regole d’oro della comunicazione renziana.

Le condivido con voi.

Regola n. 1. Strizza l’occhio al lettore: semina qua e là frasi a effetto per guadagnare sintonia con il pubblico: “il caffè lo prendo con i miei amici che mi diverto di più”, “Ora, a me va bene tutto. Ma le figuracce gratis anche no”, “Non sono i provvedimenti di legge che creano lavoro, ma gli imprenditori”. Falli sorridere, stupiscili e avrai ragione qualunque cosa tu (non) dica.

Regola n. 2. La sintassi fa il personaggio: vai di corsa, non perdere tempo. Frasi composte da non più di 7/9 parole, intercalate da una punteggiatura sfrenata. Bisogna dare l’idea di un autore indaffarato, sempre impegnato a districarsi tra i mille impegni dell’amministrazione di Firenze e il difficile compito di svegliare i bolsi dirigenti dei partiti (“Gli altri partiti ne stanno discutendo. Noi aspettiamo le loro valutazioni e ci riuniamo il 16 gennaio, in direzione, per chiudere con la nostra proposta”). Ed ecco che il lettore comincerà a correre anche lui: correrà dietro la punteggiatura ansiolitica, correrà dietro al rutilante alternarsi di temi diversi, cercherà invano un filo conduttore che gli sfugge continuamente. Forse non capirà più un fico secco, ma si convincerà che puoi risolvere i suoi problemi. Perché tu sei più veloce di lui.

Regola n. 3. Se non sei trendy a nessuno ti rivendi (cit. Eelst): la lingua del futuro è l’inglese. Ma non l’inglese di Chaucer, Byron e Wilde, e manco quello dei Duran-Duran: l’inglese giusto è quello di “Powerpoint”, frutto del compromesso tra Xfactor e amatriciana. Fruibile da tutti, moderno, efficace (“Made in Italy dalla moda al design, passando per l’artigianato e per i makers”). Insomma, inglese sì, ma che sia un inglese cool e soprattutto cheap.

Regola n. 4. Abolisci le Province e il Senato: ricorda, qualunque problema, qualunque obiezione, qualunque difficoltà si può superare abolendo le Province e il Senato. Non è un’idea originale? Vogliamo parlare della lotta all’evasione allora? Manco quella è originale, eppure centinaia di onesti lavoratori della politica ci campano da 30 anni.

Regola n. 5. Fai ampio uso di affermazioni apparentemente apodittiche: “L’Italia ha tutto per farcela”, “Un mondo piatto, sempre più numeroso e sempre più ricco, che ha fame di bello, quindi di Italia”. Non motivare mai quello che dici e non correrai il rischio di essere contraddetto.

Regola n. 6. Non avere paura: sfida i tuoi avversari, non temerli anzi provocali, cercali sul loro terreno. “Rinnovo l’appello ai deputati 5 stelle: se davvero pensate che sia un bluff, perché non venite a vedere le carte?”, “A nulla serve che l’imponente apparato di comunicazione di Beppe Grillo – pagato con soldi pubblici … bombardi la rete”. Chi mena per primo mena due volte, anche se mena fregnacce.

Regola n. 7. Palla all’avversario: in ogni gioco al rimpallo che si rispetti (tennis, ping-pong o politica), l’importante è buttare la palla dall’altra parte. Che siano rami del Parlamento ( “Il disegno di legge Delrio è passato alla Camera. Adesso aspettiamo che il Senato dia il via libera definitivo a gennaio”) o pezzi del tuo stesso partito (“Gli spunti che trovate in questa enews saranno inviati domani ai parlamentari, ai circoli, agli addetti ai lavori per chiedere osservazioni, critiche, integrazioni”), l’essenziale è che tu riesca a dare la sensazione di aver buttato la palla dall’altra parte, all’avversario: se poi le cose non si fanno o si fanno in ritardo, non potrà che essere colpa degli altri.

Bene, seppur con molta fatica, sono riuscito anch’io a scrivere ben 883 parole senza aggiungere un fico secco al dibattito economico del Paese. Sono meno della metà di quelle del “jobs Act”, lo so: ma io non ho un’intera segreteria di partito a disposizione e, soprattutto, se provo a convocare qualcuno alle 7,30 del mattino, mi becco solo pernacchie.

Interazioni del lettore

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