Gianluca Veronesi –
Le statistiche dicono che, come al solito, siamo uno strano paese.
Prima incamero, approfondisco, confronto e sintetizzo quello che mi circonda e solo dopo -caso mai- scopro di avere qualcosa da aggiungere che nessuno ha mai detto o che non ha mai detto bene come lo dirò io.
I dati di vendita dei libri dicono che la stragrande maggioranza degli italiani non legge, durante l’anno, nemmeno un libro ( a meno che vadano in biblioteca, ma non mi appare il caso).
Mentre si pubblicano migliaia e migliaia di “titoli” che vendono una media di qualche decina di copie (nemmeno gli amici più cari, immaginando che i parenti abbiano letto le bozze).
Questa grafomania è legata principalmente a due fattori: il crollo dei costi di pubblicazione, dovuti alla tecnica digitale, e la scoperta del nostro “protagonismo” intellettuale, grazie all’uso e abuso della rete.
Naturalmente le grandi piattaforme hanno fiutato l’affare per prime.
Amazon non solo consegna libri prodotti da altri ma è diventato anche editore e stampa libri in proprio, basta pagare.
Chiunque può inviare un proprio testo che i robot sottoporranno a un duplice controllo. Di copyright il primo, per assicurarsi che non sia copiato o già di proprietà di altri; di “adeguatezza” e buon gusto il secondo. Non una bigotta censura morale ma un’attenzione alle provocazioni gratuite, ai compiacimenti truculenti, alle patologie viziose e criminali.
I robot, grazie ai soliti algoritmi basati su parole chiave, selezionano testi sospetti ma è poi personale addestrato, sulla scorta di protocolli, a dire l’ultima parola.
D’altronde l’azienda, in quanto responsabile editoriale, verrebbe chiamata a risponderne.
Non si stampa nulla fino a quando il primo acquirente non si fa vivo ma il sistema è pronto a stampare una singola copia o centomila a seconda delle richieste.
Sempre che non si scelga direttamente la lettura elettronica.
Due sono gli aspetti che mi impressionano: il primo è la dimensione dell’archivio di Amazon. Per essere sicuri dei diritti di cui sopra bisogna avere in pancia praticamente l’universo mondo della letteratura.
Il secondo è la fine delle prassi tipiche del mestiere di editore: lettura delle bozze, conferma che il tema rientri nelle finalità e nella specializzazione dell’azienda e che abbia la qualità voluta, poi l’affiancamento di un editor che aiuta a pulire il testo, infine la promozione e il marketing di vendita.
Tutto questo è cancellato e ogni decisione è lasciata al mercato. Siamo però di fronte al messaggio in bottiglia abbandonato nell’oceano sconfinato.
Verosimilmente chi si affida a questo nuovo veicolo ha già tentato la strada classica delle case editrici ed è stato respinto con gravi perdite.
Deve allora attrezzarsi per far parlare di se’ e del proprio libro. Creare o curiosità o scandalo o mistero. Naturalmente in rete. E qui il cerchio si chiude. La creatività necessaria per richiamare l’attenzione sarà maggiore di quella impegnata nella stesura del volume e, a volte, sarà di natura e di segno opposto.
Rimane, alla fine, solo da chiedersi il perché di tanta voglia di scrivere. Potrebbe trattarsi di un’ondata di megalomania, l’ennesimo aspetto dell’esibizionismo di massa, il trasferimento della vanità dalla famosa élite al nuovo populismo.
Io sono più positivo, partendo dal presupposto che scrivere fa bene comunque, che è una attività terapeutica, qualunque sia la malattia, soprattutto se una malattia dell’anima.
Scrivere ci rende migliori e aumenta la nostra autostima. Ci aiuta a formalizzare dei concetti che siamo abituati a intuire solo, ci costringe a studiare per non sostenere stupidaggini, ci permette di sognare quando la realtà è troppo arida ma ci fa abbandonare i sogni quando è il momento di mettere i piedi per terra e assumerci le nostre responsabilità (o le responsabilità dei nostri personaggi).
Il mondo si è di molto complicato e la gente vuole capirci qualcosa, cominciando magari da se stessi, da cosa pensano o da come si collocano. Allora si torna all’antico: si prova a “mettere nero su bianco”.
In fondo è un po’ come riscoprire il diario quotidiano che ti aiutava a fissare i punti nodali del tuo flusso esistenziale. Ed è una estensione più intelligente, più organizzata e più contenutistica dell’apparire puro e semplice di Facebook.
Basta! Ho già finito la mia dose quotidiana di autocompiacimento grafico e utilizzato i numeri di caratteri e di fogli che il mio ego mette a disposizione. Ora devo andare, devo studiare la copertina del mio prossimo libro.
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