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Un cambio di mentalita’

2 Dicembre 2013 by Redazione Lascia un commento

(di Mario Scalia)-

La recente nomina di Carlo Cottarelli a Commissario Straordinario per la revisione della spesa pubblica, per quanto positiva e condivisibile nelle finalità, appare ancora una volta lo specchio della (arretrata) cultura amministrativa italiana.

Intendiamoci, il curriculum e la storia personale sono di tutto rispetto e la persona ha sicuramente doti tecniche e professionali assolutamente fuori dal comune, tuttavia la moda di istituire Commissari Straordinari per curare le “patologie” della PA probabilmente è destinata a fallire (come peraltro già successo riguardo ai recenti provvedimenti sulla spending review e riguardo agli scarsi risultati concreti ottenuti da Enrico Bondi, il Commissario che ha preceduto Cottarelli).

La filosofia che sta dietro a questi provvedimenti è più o meno la seguente: dal momento che la PA è una sorta di gigantesca azienda che va urgentemente risanata (giustissimo!), riducendone anzitutto le spese, prendo un manager di grandi capacità e lo metto a gestire la PA attribuendogli poteri straordinari (magari!) e dando a costui obiettivi radicali di riduzione della spesa.

Bisogna subito dire che appare errata già la premessa. Attribuendo alle parole il corretto significato, la PA non è un’azienda e, a mio avviso, non la si può neppure paragonare a questa. In un’azienda l’imprenditore combina e organizza i fattori produttivi (che sono di sua proprietà) a sua discrezione allo scopo di produrre e/o scambiare beni o servizi. Se la PA effettivamente produce e/o scambia beni o servizi senza uno scopo di lucro, essendo finanziata dalle entrate fiscali, sotto il profilo della gestione siamo veramente agli antipodi rispetto al concetto di azienda. La proprietà non esiste. Nel nostro Paese dire che le risorse sono pubbliche vuol dire sostanzialmente che si possono spendere e sprecare senza alcuna remora, senza alcun controllo, dimenticando che invece sono della collettività che ne se ricorda (con indignazione temporanea) solo nel momento in cui si parla pagare le tasse.

Quando si parla di PA peraltro bisogna sempre considerare che è composta da almeno tre tipi di enti molto diversi tra loro: 1) l’Amministrazione Statale, che ha un’organizzazione centralizzata (Ministeri, Prefetture, Forze dell’Ordine, ecc…); 2) gli Enti Locali (Regioni, Province, Comuni, Comunità Montane, ecc…) che hanno il massimo grado di autonomia in quanto dotati di legittimazione politica diretta (all’interno di questo gruppo occorre inserire anche tutti gli enti che  si occupano della tutela della salute); 3) Enti Pubblici economici (grandi aziende controllate dallo Stato come Ferrovie, Poste, Alitalia, Cassa Depositi e Prestiti, ecc…).

Ognuna di queste tipologie ha caratteristiche del tutto peculiari, spesso riconosciute a livello costituzionale (basti pensare alla devoluzione alle Regioni dei compiti di tutela della salute previsto dall’art. 117, così come Comuni e Province sono previsti e descritti nei loro poteri all’art. 118 e 119).

Non parliamo poi delle Regioni a Statuto Speciale che, in alcuni casi, costituiscono veri e propri ordinamenti paralleli rispetto a quello centrale, con esempi poco edificanti di spreco di denaro pubblico e voto di scambio.

Ora, pensare di avere una qualche possibilità di ridurre la spesa pubblica attraverso la nomina di un “super commissario” con delega alla revisione della spesa di fronte alla poliedrica e complessa realtà che ho cercato brevemente di descrivere, sembra quantomeno “naif”. A meno che non si punti solo all’effetto mediatico per ottenere qualche risultato di facciata. Si tratta di una strategia che qualche risultato lo può pure dare, ma di sicuro non gli sbandierati risultati strutturali.

È come dare ad un bravissimo meccanico il compito di aggiustare una macchina (complessa) ma senza fornirgli gli attrezzi necessari allo svolgimento del compito.

Il buon dottor Cottarelli, tanto per cominciare, avrebbe bisogno che il Parlamento modificasse in alcune parti la Costituzione per permettergli di “entrare” nell’organizzazione della PA sulla base delle distinzioni e nel rispetto delle caratteristiche di ciascuna amministrazione (vedi sopra).

In seguito dovrebbe essere titolare di un potere generale di disapplicazione di regolamenti e provvedimenti amministrativi che ad oggi non ha e che gli consentirebbe di portare ad esecuzione quelle decisioni che non solo lui, ma ogni persona di buon senso, prenderebbe, come ad esempio ridurre drasticamente il numero dei centri di spesa presenti negli enti locali.

 

Faccio un esempio: i Comuni con popolazione sotto i 10.000 abitanti non dovrebbero più avere la libertà di spendere autonomamente risorse pubbliche per l’acquisto di beni e servizi, ma dovrebbero farlo tramite le centrali di committenza già esistenti nei propri ambiti territoriali.

Faccio un altro esempio: le retribuzioni dei nostri dirigenti pubblici (amministrativi) sono più alte rispetto alla media europea, con il paradosso di avere enormi disuguaglianze. Da noi tutti i lavoratori dipendenti (pubblici e privati) non dirigenti hanno una retribuzione molto più bassa rispetto alla media europea (i nostri infermieri ad es. prendono quasi la metà rispetto ad un collega francese o tedesco!!!). Tralasciando per un attimo il personale politico, i dirigenti amministrativi hanno uno stipendio invece mediamente molto più alto della stessa media (spesso non correlato ad altrettanta responsabilità o complessità delle funzioni). Solo agendo su questa leva, anche introducendo dei tetti alle retribuzioni (e alle pensioni) pubbliche, potrebbero realizzarsi grossi risparmi di spesa.

Bene, questa è un’altra materia sulla quale intervenire con urgenza e nella quale sarebbero utili poteri di disapplicazione di norme nazionali, regolamentari e contrattuali. Parlo di disapplicazione ma dovrei anche evidenziare che spesso occorrerebbe dare applicazione a norme già esistenti. Riguardo alla disciplina della dirigenza amministrativa pubblica ricordo sommessamente che una parte della retribuzione è legata a valutazioni periodiche che potrebbero essere legittimamente ridotte se solo gli organi politici (Consigli regionali, provinciali e comunali) lo volessero davvero!

Senza dimenticare che, per agire efficacemente in questa materia, occorrerebbe concordare con le organizzazioni sindacali un percorso, con un termine temporale ragionevole e ben definito, che possa portare al raggiungimento di questi obiettivi.

Concludendo, lancio la proposta di inserire un terzo comma all’art. 57 della Costituzione. Il principio generale a cui va improntata tutta la PA dev’essere: “tutti coloro ai quali sono affidate funzioni pubbliche sono obbligati a gestire le risorse finanziarie, umane e materiali messe a loro disposizione come se fossero le proprie”. Che in altri termini vuol dire che ogni dipendente pubblico, dal livello più alto a quello più basso, deve gestire le risorse pubbliche messe a sua disposizione con la stessa attenzione, oculatezza e responsabilità che userebbe se fossero le sue, quindi in tutti i casi in cui è possibile risparmiare risorse il pubblico impiegato lo deve fare, altrimenti ne risponde della differenza.

Un governo che abbia davvero l’ambizione di guidare il Paese in questo momento di grande difficoltà ed incertezza dovrebbe cominciare a dare anche questi messaggi per stimolare quel cambiamento culturale (prima ancora che giuridico) che serve per tornare ad essere competitivi ed efficienti.

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