(di Giuseppe Pasquale)- Governi più recenti si sono esercitati più di una volta in materia di spending review. Ma lo hanno fatto nascondendosi dietro la più banale delle verità. Illudendosi, cioè, che nelle p.a. sia davvero possibile rendere operativa la spending review “decidendo”, da un giorno all’altro, l’elenco delle spese pubbliche inappropriate da tagliare (quelle inutili, eccessive, inefficienti, eccetera). Anche se, fino a oggi, nella maggior parte dei casi si è andati poco più in là della semplice pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di norme e provvedimenti.
Purtroppo la spending review non funziona così. Non può funzionare così. La realtà è sotto gli occhi di tutti. Gli sprechi che sono attualmente nella p.a. si sono cumulati anno dopo anno in modo abnorme e si sono sedimentati in termini strutturali nel corso di molti decenni.
Ma, solo in pochi e irrilevanti casi essi si sono posizionati in bella evidenza, riuniti con disciplina al di qua di una netta linea di demarcazione, facilmente tracciabile da chiunque . Al contrario, com’è intuibile, essi quasi sempre sono stati celati sul nascere, sono stati mescolati e mimetizzati in modo diffuso, artatamente messi al fianco e confusi con le spese di segno opposto, quelle insopprimibili e a loro volta ragionevoli, proficue, legate a servizi essenziali, eccetera.
Impossibile, quindi (e al tempo stesso, ingenuo e velleitario), pensare di poter sopprimere gli sprechi tout court, quasi ciò si potesse realizzare, miracolisticamente, con un semplice tratto di penna. Tutto ciò è vero soprattutto in una p.a. che, storicamente e per decenni, è cresciuta auto-riconoscendosi l’arbitrio di potersi muovere a piacimento, senza sottostare ai comuni vincoli di ragionevolezza e di buon senso. Il rischio è quello di avventurarsi ancor più pericolosamente del solito lungo strade prive di buon senso.
Prima che sia eliminato, dunque, lo spreco deve essere individuato, perimetrato e tenuto in disparte rispetto alla spesa “buona”. Ma questo implica – pregiudizialmente – un’istruttoria approfondita e capillare, un processo di selezione, diffuso in lungo e in largo dentro ogni amministrazione pubblica, che è impresa tutt’altro che facile. E che postula come necessario un intervallo temporale non breve (uno-due anni, almeno, di massima). Benché ciò sia chiaramente incompatibile con l’urgenza di segno opposto che è quella di monetizzare immediatamente e subito i risultati del risparmio.
In questo contesto può essere utile (e, anzi, giunti a questo punto, è secondo me necessario) ricorrere al web onde dare alle p.a. una organizzazione letteralmente rivoluzionata rispetto alla condizione attuale.
Il web consente a costo zero di mettere sotto gli occhi del cittadino i dettagli analitici su chi, quanto e come spende il denaro pubblico. Una particolare piattaforma web è in grado di attivare forme di competitività fra responsabili di uffici diversi, indicizzate ai risultati effettivi, suscettibili di comparazione in tempo reale sul web.
A tal fine, facendo tesoro della mia esperienza dentro la p.a., ho elaborato una proposta estremamente articolata. Tralasciando di illustrare in narrativa i contenuti del lavoro, per i quali rimando alle slides di presentazione in allegato. Esse illustrano sommariamente il progetto, il quale viene qui affiancato altresì da una bozza di disegno di legge, già vagliato in termini di fattibilità, e capace a mio parere di assicurare l’efficentamento al massimo grado (e a costo zero) delle p.a.
La realizzazione di queste misure fornirebbe gli strumenti per finalmente discriminare la spesa buona da quella cattiva, il dirigente che funziona da quello che funziona meno. Il tutto con responsi che nel corso di uno-due anni si formerebbero in maniera oggettiva, su base facoltativa, e per questo accettati da chiunque. Oggi, al contrario, qualunque “vera” operazione di spending review (penso al momento in cui divenisse inevitabile – fino a oggi ciò non è avvenuto – incidere sul taglio di ben individuati posti di lavoro pubblici, con effetto immediato) sarebbe contrastata in massa e rischierebbe la paralisi per una sorta di oggettiva impraticabilità. Dovuta a scelte cariche, in dosi cospicue, di discrezionalità, soggettività (arbitrarietà percepita), e per questo intrinsecamente contestabili.
L’attuazione del progetto comporterebbe altresì il vantaggio di vedere soppressi quasi tutti gli organismi di controllo ex post che ruotano intorno a ogni ufficio pubblico. E inoltre determinerebbe un drastico abbattimento dei costi di auto-funzionamento che oggi gravano in maniera ipertrofica su tali uffici. Questi ultimi soffocati sempre più da pseudo-riforme che – in nome di principi sacrosanti (quali efficienza, trasparenza, legalità, eccetera) – non si sono accorte di aver appesantito oltre ogni limite le procedure, obbligando sopratutto i dirigenti a inseguire più che ilcore business della propria amministrazione, la predisposizione (in chiave difensiva) di tutti quegli adempimenti finalizzati a garantirsi sul piano personale (ma solo formalmente), la “prova” di un’avvenuta osservanza dei noti requisiti di performance (efficienza, trasparenza, legalità, eccetera). Il progetto web, invece, dà la prospettiva di poter un giorno ribaltare la situazione attuale. I valori di legalità, trasparenza ed efficienza devono tornare a essere una “modalità” dell’azione non già costituire “la” finalità (e l’unica preoccupazione) dell’azione pubblica (quale che sia poi l’esito dei risultati sostanziali raggiunti dall’ufficio in termini di servizi reali al cittadino).
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