Di Bruno Soro
In quel piccolo mondo antico
«Lei è nemico della filosofia?», osservò il professore, sorridendo.
«Io sono amico», rispose Franco, «della filosofia facile e sicura che m’insegnano anche le rose.» Antonio Fogazzaro, Piccolo mondo antico, Newton Compton Editori, Roma 2010, p. 105.
Più scorre il tempo, e alla mia età scorre più veloce rispetto a quando ero un giovincello, nato in un paese di contadini e cresciuto in una cittadina industrializzata del sud del Piemonte che fu, maggiore diventa la consapevolezza di essere (ed essere stato) un uomo molto fortunato. Conversando con un amico filosofo imbevuto della cultura milanese, mi ha spiegato che gran parte della mia fortuna dipenderebbe dal fatto che la mia generazione ha potuto godere di quel “piccolo mondo antico” nel quale la nostra educazione ha usufruito del buon funzionamento dei tre pilastri sui quali si fonda l’educazione dei giovani: la famiglia (nonni e genitori), la scuola (dall’asilo delle suore, alle elementari alle scuole superiori), l’associazionismo (prevalentemente di stampo cattolico). Pilastri grazie ai quali ci è stato inculcato il senso di responsabilità individuale, la necessità di guadagnarci da vivere con l’impegno e, infine, l’importanza della socialità, vale a dire il fatto di vivere a contatto con gli altri e per gli altri. Non ultimo, cosa che ha consentito a molti di noi di poter frequentare l’università, l’esistenza e il buon funzionamento del cosiddetto ascensore sociale, in allora funzionante, che ci ha consentito di migliorare le nostre condizioni di vita rispetto a quelle delle generazioni che ci hanno preceduto.
Il mio amico filosofo mi ha poi fatto notare che in quegli anni, l’immigrazione, proveniente prevalentemente dalle regioni meridionali, “in quell’oscuro angolo di una “Morta Provincia”,1 a differenza che in altre cittadine dell’alessandrino, trovava facilmente lavoro nelle attività industriali locali: il nuovo stabilimento dell’Italsider (inaugurato nel 1962), le industrie dolciarie e meccaniche, le ferrovie dello Stato, che oltre a dare occupazione favorivano agevoli collegamenti con le grandi città del Triangolo industriale, in aggiunta all’occupazione nell’annesso scalo di smistamento e deposito locomotive di S. Bovo. Tutto ciò avrebbe favorito l’integrazione e la possibilità di far crescere i propri figli in un contesto molto più favorevole rispetto all’immigrazione che affluiva (con intensità maggiore) nelle periferie delle grandi città come Milano e Torino.
Ecco una ragionevole spiegazione del contesto nel quale sono cresciuti “Quei giovani speranzosi della Novi di «papé satàn”», oggetto di un mio scritto dedicato all’amico Franco Contorbia,2 pubblicato in anteprima quale capitolo Diciotto della mia raccolta di saggi Capire i fatti.3 A proposito del contesto culturale del periodo che va dal marzo 1963 al dicembre dell’anno successivo, i due anni nei quali “Quei giovani speranzosi” si sono lanciati nelle loro prime
Da Panorama di Novi, venerdì 2 dicembre 2022.
1 “Il Caudio”, papè satàn, ottobre 1964.
2 Per Franco Contorbia, a cura di Simone Magherini e Pasquale Sabbatino, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2019, Vol. II pagine 977-986.
3 B. Soro, Capire i fatti. Saggi divulgativi di Politica economica e Società, edizioni epoké, Novi Ligure 2018, pagine 251- 266.
esperienze letterarie e contestatrici, meglio di quanto io stesso non abbia saputo descrivere in quel saggio, il professor Lorenzo Rampa, al quale sono grato per avermi concesso la Prefazione al mio libro, scrive: “Quei giovani sono cresciuti e maturati in un clima completamente diverso da quello attuale: un anelito di cambiamento che animava nello stesso tempo studenti di diverse opinioni e credenze, un desiderio di conoscenza e di confronto oggi perduto tra aspettative deluse e fake news dilaganti, una scuola non ancora decaduta e un ascensore sociale ancora funzionante. Così poteva capitare che da un piccolo gruppo di studenti delle superiori di una piccola cittadina di provincia, per lo più provenienti da famiglie modeste, scaturissero percorsi paralleli così densi di impegno civile e di soddisfazioni professionali ed accademiche. Il nostro percorso è stato particolarmente parallelo avendo in comune l’insegnamento dell’economia ed un impegno civile che non ha disdegnato l’accettazione di incarichi politico-amministrativi”. 4
Per la serie delle curiosità storiche occorre poi dare atto di come quegli anni fossero quelli in cui “quel manipolo di giovani speranzosi, che ha animato il dibattito giovanile nella Novi dei primi anni ’60, abbia anticipato di qualche anno quel clima culturale di sommovimento giovanile che quegli stessi giovani hanno poi vissuto da protagonisti”. 5 A questo proposito, basterà pensare alla pubblicazione di quella scandalosa inchiesta sulla posizione della donna nella società italiana
– apparsa sul N. 3 del febbraio 1966 del giornale studentesco «la zanzara» del Liceo Parini di Milano -, inchiesta da taluni considerata “la primavera” del Sessantotto.
Nella preparazione di una lezione tenuta nell’ottobre del 2015 all’Università della Terza Età di Novi Ligure, avente per oggetto “Il mestiere dell’economista”, dopo avere rammentato i molti economisti italiani impegnati nelle varie istituzioni, gli “Economisti eccellenti” che hanno ricevuto “Il Premio della Banca di Svezia per le scienze economiche in memoria di Alfred Nobel”, alcuni tra gli “economisti italiani eminenti e prestigiosi” degli ultimi due secoli, nonché un lungo elenco di “economisti editorialisti” impegnati sulle più importanti testate giornalistiche italiane, ho citato i cinque “economisti novesi” (tra i quali figurano, oltre al sottoscritto i professori Lorenzo Robotti, Lorenzo e Giorgio Rampa, e Pier Maria Ferrando). Dopo di che, incuriosito dai molti accademici novesi della mia generazione (i nati negli anni che vanno dal 1945 al 1975), grazie alla collaborazione di alcuni amici, ho compilato un lungo elenco (di ben trentaquattro nominativi) di professori universitari novesi impegnati nelle varie università italiane e straniere.6
Molti concittadini mi hanno chiesto quali fossero le ragioni di questa “anomalia novese”, dal momento che non mi risulta che nessun’altra cittadina della provincia di Alessandria possa vantare un così alto numero di docenti universitari. La spiegazione più ragionevole di tale anomalia – che nulla ha a che vedere con quel famoso detto del dialetto locale, da molti citato a sproposito, che recita: “è pü lucu id Növe u sòna i viuléin” (il più stupido di Novi suona il violino)–7 andrebbe ricondotta, a mio modesto parere, a queste quattro ragioni: a) il contesto
4 L. Rampa, Prefazione a Capire i fatti. Saggi divulgativi di Politica economica e Società, edizioni epoké, Novi Ligure 2018, pagina 17.
5 Si veda “Quei giovani speranzosi della Novi di Papé satàn”, in B. Soro, Capire i fatti. Saggi divulgativi di Politica economica e Società, edizioni epoké, Novi Ligure 2018, Capitolo Diciotto, pagina 253.
6 A richiesta posso fornire l’elenco a coloro che fossero interessati. Colgo l’occasione per ricordare il professor Marco Dante De Faveri, mancato pochi giorni fa, al quale mi legava un rapporto di amicizia, stima e simpatia.
7 Stando a ciò che mi ha raccontato mio fratello Elvezio (1935-2020), quel detto deriverebbe da una vicenda poco nota secondo la quale un violinista novese impegnato nell’orchestra della Scala di Milano aveva due nipoti, uno dei quali lo
economico sociale di cui si è detto; b) le doti individuali di capacità (merito); c) una certa dose di ambizione; d) il buon funzionamento dell’ascensore sociale. È un vero peccato che, per quanto possa dissentire l’amico filosofo da questa mia interpretazione, dedotta dalla “filosofia facile e sicura che m’insegnano anche le rose”, il contesto economico-sociale di quella generazione “di giovani speranzosi” sia oggi venuto meno. Non solo, ma il declino culturale, che ha investito tutto il Paese, ha intaccato tutti e tre i pilastri dell’educazione e, contestualmente, l’ascensore sociale (per responsabilità della classe politica) non è più funzionante.
Una famosa pubblicità della crema di cioccolato spalmabile di qualche tempo fa recitava: “Svizzero? No, Novi!”. Fortunatamente qualcosa di quel “piccolo mondo antico” ci è rimasta e ci aiuta a rendere più confortevole il presente.
Alessandria, 23 novembre 2022
frequentava spesso e l’altro solo saltuariamente. Alla sua morte egli avrebbe lasciato in eredità il cascinale al secondo, mentre al primo lascò il suo violino stradivari, il cui valore era notevolmente superiore a quello del cascinotto. Non conoscendo il valore del violino ricevuto in eredità, questi lo cedette per pochi soldi ad un banco di antiquariato. Di qui, l’esatto significato del detto novese, che suonerebbe in senso esattamente contrario rispetto al modo in cui viene
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