L’elezione di un ex missino (mai rinnegato) e di un integralista cattolico alle rispettive presidenze delle due assemblee legislative della Repubblica italiana testimonia la fine di un percorso di “legittimazione” politica iniziato nei primi anni 90 all’indomani del terremoto “mani pulite” e il periodo dello stragismo mafioso.
Soprattutto in riferimento all’ elezione del nuovo Presidente del Senato, fu proprio Silvio Berlusconi agli albori della sua “discesa in campo” del 1994 a includere nella suo progetto politico, anche soltanto stringendo alleanze elettorali, i reduci del movimento sociale italiano aprendo ad un percorso di “riabilitazione” degli ex fascisti; una riabilitazione prima di tutto di tipo culturale prima che politica accompagnata anche da un revisionismo di basso livello da parte di alcuni ambienti culturali e storici verso la Resistenza antifascista, uno dei pochi momenti insieme agli ideali risorgimentali in cui il nostro Paese ha dimostrato valore, coraggio e alto livello morale.
Sarebbe comunque non esaustivo e troppo superficiale addossare la responsabilità o l’abilità (dipende dai punti di vista personali) della “rianimazione” degli eredi culturali e politici del movimento responsabile di una delle pagine più spietate e crudeli della storia italiana soltanto alla volontà del fondatore di Forza italia e perno centrale del mondo conservatore italiano degli ultimi 30 anni,
Vi sono a monte ragioni storiche ma soprattutto culturali che covano e sedimentano nel profondo di alcuni strati della società italiana, magari non ampli ma comunque rilevanti;
Di fatto molti italiani mancano di una elementare cultura politica e di una minima maturità democratica e coscienza civile che porta ciò ad intendere il processo decisionale e l’esercizio del potere in ottica dell ‘ “uomo della provvidenza o dell’ uomo solo al comando”; quante volte abbiamo udito nei luoghi pubblici o in semplici discussioni fra conoscenti la frase “ ci vorrebbe uno che sia forte e deciso e autoritario (non autorevole) che metta a posto le cose”?;
Molti italiani non intendono la politica come dovrebbe essere, cioè un fatto collettivo dove governare il conflitto fra interessi articolati e complessi che inevitabilmente sorgono e sorgeranno in una società sempre più complessa e globalizzata, ma viene inteso come puro esercizio del potere che cerchi di garantire la sopravvivenza e la rendita del proprio piccolo (seppur legittimo) interesse privato. Da queste premesse di riflesso lo sbocco politico è il consenso a forme di potere e di legittimazione dello stesso di tipo cesaristico e demagogico che non prevedono forme di intermediazione degli interessi e di contro-bilanciamento del potere.
A fianco agli elementi propri storico e culturali della società italiana, si accompagnano ulteriori fenomeni che negli ultimi 30 anni hanno stravolto gli assetti socio-economici delle strutture dei paesi avanzati come l immigrazione da paesi diversissimi per culture e valori, innovazione tecnologica con l’ entrata in scena della robotica che sta stravolgendo e ristrutturando il mondo del lavoro con risvolti di disoccupazione strutturale, la crisi finanziaria degli istituti bancari statunitensi iniziata nel 2007/2008 che ha attivato un processo di polverizzazione dei ceti medi delle società che ha portato ad una polarizzazione della struttura sociale, che vede la forbice tra chi ha sempre meno e chi ha sempre di più aumentare in maniera esponenziale portando a diseguaglianze a squilibri nelle opportunità di mobilità sociale che si possono definire immorali; per inciso le generazioni appartenenti al mondo industrializzato nate nell’ immediato dopoguerra hanno visto le promesse di continuo miglioramento delle proprie condizioni materiali di vita rispettate e mantenute anche per chi avesse titoli di studio basilari o condizioni di partenza e background familiare di ceto basso. Negli ultimi venti anni la ruota si è invertita e avere anche un titolo di studio alto (escluse forse le altissime specializzazioni tecnologiche e finanziarie) non è garanzia di stabilità lavorativa e di condizioni di vita migliori delle generazioni precedenti.
La fine della “democrazia progressiva” è ormai lampante.
Questi macro-processi globali hanno innestato nelle società appartenenti al mondo occidentale una risposta di chiusura, di paura, di ritorno al sentimento della piccola patria che sfocia in riflessi xenofobi e razzisti che portano come sbocco politico al consenso verso leader e gruppi che tradizionalmente si sarebbero definiti di “destra estrema o comunque non liberale” ma che oggi stanno prendendo la forma di forme populiste e demagogiche.
Nel suo nuovo libro “il tempo dei tiranni” Moises naim, economista e giornalista venezuelano che è stato Executive director della banca mondiale, delinea con precisione il fatto che questi nuovi leader definiti populisti invece che porsi come statisti si pongono invece come demagoghi che soffiano sul fuoco dei peggiori istinti viscerali dei cittadini che soffrono già stati ansiosi per il disorientamento e la caduta dei valori con i quali sono cresciuti e la nascita di un nuovo mondo cha ancora non si è palesato.
Cit. Moises Naim “la sensazione che la fame di leadership autocratica sia in aumento non è solo un’impressione. La percentuale di persone cui piacerebbe vedere un leader forte non costretto a perdere tempo con parlamenti ed elezioni è aumentata di 10 punti negli Stati Uniti nei vent’anni a partire dalla fine degli anni 90, di quasi 20 punti in Spagna e Corea del Sud, e di 25 in Russia e Sudafrica secondo una ricerca condotta nel 2016; quel che è peggio il grosso dell’aumento è dato da cambio di atteggiamento fra i più giovani.
Esperienze diffuse di spiazzamento economico danno origine alla sensazione che la società stia cambiando troppo velocemente in modi che le persone avvertono come minacciosi; questa percezione di una minaccia attiva tendenze psicologiche ampiamente condivise ma generalmente latenti all’autoritarismo e una predilezione per i leader autoritari. Inoltre l’iper connessione tecnologica aumenta a dismisura la potenza della minaccia incarnata da un mutamento sociale rapido e su larga scala, le conferisce spessore politico e incentiva un attacco generalizzato ai fondamenti delle società liberali: la libertà e i meccanismi democratici di controlli e contrappesi”
Tornando al caso italiano quindi resta da capire se l’elezione dei due nuovi presidenti delle camere legislative sia solo una temporanea risposta che il blocco vincitore delle elezioni vuole dare a quella parte della società italiana (parte consistente) spaventata dalle dinamiche sempre più intangibili e non regolabili che la globalizzazione imprime, eleggendo due rappresentanti dei valori cattolici tradizionali, della patria, della famiglia, dei valori “tradizionali”, risposta che sul medio-lungo termine si rileverà inutile e priva di senso perché al mondo di prima non si tornerà mai più; oppure se sia l’inizio di un progetto vero e proprio che voglia riportare la nazione fuori dal contesto globale isolandola e chiudendola in un mondo “antico” che sancirebbe la fine del progetto delle democrazie europee nate dopo il secondo conflitto mondiale.
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