( di Laura Eduati- da http://www.huffingtonpost.it/)-
Trentenni e quarantenni assopiti dovrebbero leggere immediatamente “Come siamo cambiati. Gli italiani e la crisi” (Laterza) di Roberta Carlini. Lo dovrebbero sfogliare perché troverebbero i dati statistici di una generazione dal motore quasi spento e un paragone riassume l’intero volume: la ricchezza media di un ragazzo che ha compiuto 27 anni nel 2012 è la metà della ricchezza media di un ragazzo che li ha compiuti nel 1993. 77mila euro contro 156mila.
Non si tratta soltanto di denaro. Quel cinquanta percento di soldi in meno significa meno opportunità, meno case, meno macchine, meno figli, meno matrimoni, meno futuro. E pazienza se nel double dip italiano – e cioè la duplicazione della crisi nel 2008 e nel 2011 – abbiamo spesso sentito parlare e spesso abbiamo scritto del disastro generazionale.
Quella cifra, 156mila a 77mila, è un condensato tragico non soltanto dello scivolo mondiale ma anche della mancanza di politiche volte a contrastarlo. Poiché l’Italia, annota con precisione Carlini, è per esempio uno dei pochissimi paesi europei dove i giovani non hanno (tra virgolette) approfittato della crisi per mettersi a studiare. Non hanno trovato un nuovo modo di fronteggiare l’avversità, non hanno ricevuto un sostegno pubblico.
Carlini, condirettrice di Pagina99 e giornalista specializzata in economia, è riuscita a raccontare attraverso le statistiche un’Italia attraversata dal malessere che non è soltanto economico: l’Istat, i dati Ocse, i rapporti sull’istruzione e sui consumi servono per raccontare le scelte private degli italiani. In primo luogo il posticipo delle gravidanze e il calo delle nozze, con un curioso risvolto: le spese per i banchetti nuziali, il vestito e la cerimonia sono rimaste intatte, in maniera quasi commovente.
Con la crisi i nonni hanno cominciato a comperare i pannolini ai nipoti, con la crisi sono diminuite le iscrizioni all’università e in parallelo i governi uno dopo l’altro hanno tagliato le spese per l’istruzione. Anno dopo anno la disuguaglianza si è accentuata, tanto che parlare di meritocrazia ormai sembra paradossale: è la meritocrazia dei figli delle famiglie che bene o male hanno resistito alla tempesta.
In un panorama tanto negativo Carlini sottolinea una particolarità di genere: la crisi sta assottigliando la distanza tra la percentuale di lavoratori e la percentuale di lavoratrici. Una tendenza all’opera in Europa e negli Stati Uniti e che consente alle italiane di guadagnare qualche punto, con un gap passato dal 24,7% al 19,7%:”In numeri assoluti questo significa che dal 2008 al 2014 in Italia si contano 875mila occupati maschi in meno e 64mila donne al lavoro in più”.
Non si tratta di professioni altamente qualificate. Spesso le donne si adattano a un lavoro pagato meno, più precario, meno ambizioso proprio perché devono far quadrare il bilancio domestico. Non è un successo delle politiche di genere ma, scrive giustamente l’autrice, è un cambiamento che “provoca un terremoto” nelle famiglie dove il tradizionale breadwinner, il maschio di casa, non lavora o guadagna molto poco e deve accettare che la moglie o la compagna sia la vera portatrice di reddito.
E’ così – anche – che siamo cambiati. Una straordinaria fotografia che conviene tenere a portata di mano per verificare nel futuro come gli italiani continueranno ad aggiustarsi nel peggiore inverno mai vissuto negli ultimi settant’anni.
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