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Ha senso, in Italia, ripetere che laurearsi non serve a trovare lavoro?

24 Ottobre 2013 by Redazione Lascia un commento

(da dis.amb.iguando-http://giovannacosenza.wordpress.com) – Il tormentone circola da tempo sui media e nella politica italiana, ma da un paio d’anni si è fatto più insistente: «Ragazzi, laurearsi non serve a trovare lavoro: meglio andare a lavorare subito dopo il diploma o addirittura dopo la terza media». Ultimo esempio ieri a Radio 24: la puntata di Mix 24, il nuovo programma condotto da Gianni Minoli, si intitolava significativamente «Meno laureati, più idraulici». Io però ogni volta che sento questa cosa salto sulla sedia. Per due ragioni. La prima è che i dati Istat dicono il contrario; la seconda è che il numero dei laureati in Italia è inferiore alla media europea e ancor più basso che in molti paesi sviluppati. Per quel che riguarda i dati, lascio la parola a Andrea Cammelli, docente di statistica e direttore del consorzio AlmaLaurea.

Punto primo: «L’ISTAT rileva che, fino ad oggi, nell’intero arco della vita lavorativa, i laureati hanno presentato un tasso di occupazione di oltre 12 punti percentuali maggiore rispetto ai diplomati (76,6 contro 64,2%) [ultimo dato disponibile relativo al 2012].»

Punto secondo: «Il nostro Paese, a partire da una spesa per l’istruzione e la ricerca universitaria decisamente inferiore alla media OCSE ed europea, negli ultimi anni è stato tra i pochi ad averla ulteriormente ridotta in misura sensibile. Eppure in Italia, nel 2011, la percentuale di laureati di 30-34 anni sul complesso della popolazione è pari al 20,3%; una quota ancora molto distante dagli obiettivi europei fissati per il 2020 (40%) e dalla media UE (34,6%).»

Punto terzo: «Il ritardo che il nostro Paese registra nei livelli di scolarizzazione più elevati si riflette significativamente sui livelli di istruzione della classe manageriale e dirigente italiana. I dati Eurostat segnalano, ad esempio, che nel 2010 ben il 37% degli occupati italiani classificati come manager aveva completato tutt’al più la scuola dell’obbligo, contro il 19% della media europea a 15 paesi e il 7% della Germania.» (Tutte le citazioni sono tratte da “Il governatore Visco e AlmaLaurea: confronto sui laureati in Italia”).

Insomma, posso forse – forse – capire chi dice «Laurearsi non serve» in un paese che ha percentuali ben più alte di laureati, come ha fatto il sindaco Bloomberg di New York (il suo intervento è stato fra l’altro ripreso ieri a Mix 24). Ma non capisco chi lo ripete in Italia, paese mediamente assai meno scolarizzato. O meglio, lo capisco in questo senso. Credo che il giornalista e il politico che in Italia ripete il tormentone lo faccia per queste ragioni (prese singolarmente o mescolate assieme), che non mi piacciono per niente:

  1. o lo dice perché fa ganzo dirlo, perché lo aiuta a sentirsi un po’ “sindaco di New York” (specie se chi lo dice è laureato, plurilaureato o plurispecializzato);
  2. o lo dice per provocare e attirare l’attenzione su di sé, sul proprio lavoro o sulla propria trasmissione;
  3. o lo dice – specie se fa politica – perché è meglio avere a che fare con percentuali più alte di elettori ed elettrici ignoranti e inconsapevoli: sono più facili da manipolare.

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