(di Piero Ostellino – “Corriere della Sera” 16/10/2013) – La prospettiva di cancellare il reato di clandestinità fa uscire, di fatto e persino de jure, l’Italia dalla logica del pensiero che ha storicamente presieduto all’ingresso dell’umanità nella Modernità, senza che si disponga di una qualche teoria e di uno straccio di politica in grado di farci entrare nella Contemporaneità, come era accaduto per la Modernità, nel 1600-1700, in altri Paesi, e di metterci nella condizione di affrontare razionalmente i problemi che essa pone.
POLITICA E DIRITTO
Le illusioni sul reato di clandestinità nel Paese dove la deroga vince sempre
L’abborracciata cultura politica progressista nazionale — che pretende, demagogicamente, di essere sia antesignana di un «nuovo umanesimo» — si è rivelata quello che è: l’illusorio pensiero di mezze calzette incapaci di individuare culturalmente una spiegazione e di trovare politicamente una soluzione al problema dell’immigrazione dal Terzo Mondo che ci riguarda.
Crediamo, con l’idea di abolire il reato di clandestinità, di essere i più umanitari e i più democratici fra i Paesi europei – che dispongono tutti di una legislazione contro la clandestinità che li mette al riparo dall’ingresso indesiderato e incontrollato di masse di diseredati – ma riusciamo ad essere solo i più irresponsabili. Incoraggiamo – restando i soli a non sanzionare il reato di clandestinità – i criminali che organizzano, «a pagamento», i viaggi della disperazione e della speranza. Non è un caso che – invece di approdare a Gibilterra, dopo un breve tratto di mare sicuro, ma scoraggiati dalle misure spagnole contro gli ingressi clandestini – i migranti approdino, oggi, e non sarà un caso se approderanno domani, a Lampedusa, dopo aver attraversato un tratto di mare più lungo e pericoloso.
Facciamo danno a noi stessi, sobbarcandoci i costi economici dell’accoglienza, che non siamo in grado di soddisfare. Non agevoliamo chi rischia la vita per approdare sulle nostre coste nella prospettiva di un lavoro e di una casa, che, poi, non possiamo dare loro; così, gli immigrati finiscono nelle mani della criminalità organizzata – che li usa come mendicanti lavavetri ai semafori delle strade – e/o delle lobby economiche, che li sfruttano come manodopera a basso costo. Si tratterebbe di una sorta di permesso di transito sul nostro territorio verso i Paesi del Nord Europa, che provvederanno, per parte loro, a rispedirli alla destinazione da cui sono partiti. Quello nostrano è un caso esemplare di demagogica stupidità, sul fronte interno, e di irresponsabilità verso i nostri partner nell’Unione europea, alla quale, oltre tutto, chiediamo di aiutarci.
La prospettiva della cancellazione del reato di clandestinità rappresenta l’abdicazione al principio di sovranità e, al tempo stesso, l’esito scontato, concettualmente e politicamente scandaloso, di una legislazione che muta essa stessa e sforna leggi secondo l’alternanza di governo, vanificando la certezza nel tempo del Diritto. Per sovranità si intende, infatti, il potere di legiferare e di governare che gli uomini conferiscono allo Stato. A tale potere, nel Seicento, ha fornito una giustificazione teoretica Thomas Hobbes col Leviatano, metafora dello Stato moderno. John Locke, l’altro padre dello Stato moderno, ha posto, a fondamento e a legittimazione della sovranità statuale, l’idea di «consenso»; l’atto col quale i cittadini si spogliano volontariamente di tutti i loro diritti, delegandone l’esercizio ad una autorità sovrana, dalla quale accettano di essere governati, ma alla quale sono, però, anche legittimati a togliere il proprio consenso se, e quando, essa viene meno agli impegni presi e, invece di tutelare, viola i diritti individuali dei quali si è fatta carico.
Il Trattato di Westfalia (1648), che poneva fine alle guerre di religione in Europa, ha innalzato la sovranità -come autonomia di ogni Ordinamento giuridico statuale e libertà di professione religiosa dei suoi cittadini (cuius regio ezus religio) – a fattore delle moderne relazioni internazionali. Ogni interferenza esterna negli affari interni di un Paese sarebbe stata considerata, da quel momento, una violazione del nascente diritto internazionale.
Con la dissoluzione degli imperi coloniali, la sovranità nazionale avrebbe costituito, nel Ventesimo secolo, la premessa concettuale e ideale del principio di autodeterminazione dei popoli. Le nazioni legittime hanno il diritto dì essere sovrane. Che cosa sia una nazione legittima è, d’altra parte, una cosa ancora tutta da definire.
La produzione legislativa riflette l’alternanza di governo. A garantire la certezza del Diritto è, secondo il pensiero politico, la continuità dello Stato, indipendentemente dai contingenti mutamenti di governo prodotti dalla democrazia. È un principio che consente al cittadino di sapere, in ogni momento, che, ad ogni proprio comportamento, corrisponde sempre una legge che lo regola, o lo sanziona; tale consapevolezza impone di regolarsi di conseguenza. Lo Stato di democrazia liberale è quello dove tutto è consentito tranne ciò che è espressamente vietato. Lo Stato autoritario, o totalitario, è quello dove tutto è vietato tranne ciò che è espressamente consentito. L’Italia è uno Stato che, a volte, troppo consente; altre, che tutto vieta, rendendo variabile, e illusoria, la certezza del Diritto.
All’aurea regola della continuità dello Stato, a fronte della mutevolezza dei governi, le forze politiche avevano, in passato, sempre ubbidito anche se mai rigorosamente. A sovvertirla, ancorché indirettamente, è stata la malintesa convinzione del leader populista del centrodestra—quanto diverso dalla Destra storica e liberale cavourriana di Minghetti e di Sella! — e di una sinistra intimamente ostile al capitalismo e al mercato, che al governo, e alla sua maggioranza parlamentare, siano consentite deroghe purché legittimate dall’ultimo voto popolare. La mutevole «sovranità del popolo» ha preso, così, il posto della «costanza della sovranità statuale». La certezza del Diritto è stata esposta alla volatilità degli esiti elettorali con risultati catastrofici.
C’è una grande confusione sotto il cielo del mondo globalizzato e la situazione non è affatto eccellente. A teorizzare i principi fondanti della Contemporaneità non c’è, neppure all’orizzonte, ciò che erano stati, per la Modernità, i «lumi» francesi; gli illuministi empirici e scettici scozzesi, padri del liberalismo; il razionalismo e il moralismo critici di Immanuel Kant. L’Italia naviga a vista, rischiando costantemente di naufragare.
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