Se si dà ascolto ai media o si legge la stampa nazionale parrebbe che il duo Obama/Clinton, dopo essersi leccato per circa un mese le ferite dovute alla cocente disfatta, sarebbe pronto alla riscossa per il prossimo mid-term capeggiando senza rivali la guida del Democratic Party. Niente di più falso.
L’establishment dell’asinello è sotto tiro da una forte componente “anti-sistema” che conta più del 40% del partito e che dopo l’esito delle primarie si è fatta sempre più battagliera e per nulla soddisfatta di come Barack Obama abbia governato il paese nel suo ultimo mandato. A capo di questa moltitudine di “ribelli” vi è un personaggio assai temuto dall’establishment corrente, in quanto il suo prestigio lo acquisì proprio come uomo di governo (Amm. Carter, Ford, Clinton): Robert B. Reich[1]. Reich, oltre a essere un politologo di fama internazionale (accademico a Berkeley) fu un amico personale di Bill Clinton, il quale gli affidò il delicato compito di Segretario del Lavoro nel suo primo mandato presidenziale. Ma la sua indubbia fede “rawlsiana” lo costrinse ad allontanarsi sempre più dal club dei maggiorenti del partito, dedicandosi in seguito all’insegnamento universitario e alla stesura di numerosi saggi. Poi, una nuova svolta: il ritorno alla politica attiva e militante culminata con il sostegno a Bernie Sanders durante le primarie democratiche. Se il Governatore del Vermont fu il front-runner anti-clintoniano conquistando 1.865 delegati e oltre il 43% dei consensi elettorali, Reich fu il suo backstage teorico politico. A torto o a ragione, Reich non intende trincerarsi sulla difensiva, validando quell’orientamento politico assunto dai governi di sinistra negli ultimi vent’anni che consiste nel limitare quanto più possibile il danno procurato dai processi di deregolamentazione del mercato. La sua strategia è l’attacco e la sua offensiva punta sostanzialmente verso tre direzioni di marcia.
In primo luogo, egli afferma che questo capitalismo “finanziario” (shareholder capitalism) è controproducente per il capitalismo stesso, nonché pericoloso per la democrazia in quanto foriero d’insorgenze tiranniche (Trump). Non ci sono terapie curative o lenitive, l’unica soluzione sta nella sua sostituzione con il “vecchio” o nuovo – dipende dai punti di vista – modo di far impresa (stakeholder capitalism)[2]. Un capitalismo “equilibrato” in cui tutti i portatori d’interesse ne traggano vantaggio in proporzione alle singole responsabilità e oneri.
“…dobbiamo prodigarci molto seriamente affinché si passi da un capitalismo di tipo azionario [shareholder capitalism] a un capitalismo che prenda in considerazione tutti i portatori d’interesse [stakeholder capitalism], in cui le comunità e i lavoratori hanno una voce in ciò che le aziende fanno. Non c’è alcuna ragione logica o legge secondo cui dovrebbero esistere le aziende con l’unico scopo di massimizzare i rendimenti degli azionisti. Abbiamo creato un mostro finanziario in cui Wall Street effettivamente dirige la maggior parte dell’industria americana, spingendo le aziende a ridurre i salari, sostituire le persone con macchinari, esternalizzare posti di lavoro all’estero e combattere i sindacati, mentre raccoglie una grande quota di risparmio da Main Street.”[3]
Non siamo molto lontani dalla filosofia politica di John Rawls e dal pensiero economico di John Kenneth Galbraith, sebbene la sua enfasi critica si distingue per essere pari a quella dell’economista americano Thorstein Veblen[4], che lottò accanitamente nel primo 900 contro il monopolio e la corruttela dei famosi “robben barons”.
In secondo luogo, stando a Reich, il dibattito interminabile se il “libero mercato” sia meglio del “governo” è fuorviante, poiché impedisce di esaminare chi eserciti il potere, chi ne tragga vantaggio e se le regole del gioco presenti in una moderna democrazia vadano modificate affinché ne beneficino più persone.
Infine, la sinistra democratica internazionale, ma in particolare quella americana rappresentata dal Democratic Party, si è “venduta” al potere finanziario pensando ingenuamente che i denari delle lobby servissero per attuare le proprie policies. Fu un errore strategico mortale, poiché essa alla fine è diventata complice di Wall Street e quindi oramai indistinguibile agli occhi dei suoi tradizionali ceti di riferimento: la middle-class e i blue collars.
“…abbiamo bisogno di un sistema di reimpiego [della mano d’opera] negli Stati Uniti. Le persone stanno perdendo i loro posti di lavoro e devono accontentarsi di quelli che pagano di meno. Questo non è a causa del commercio, bensì del cambiamento tecnologico e dalla pressione incessante [generata] da Wall Street sulle società affinché si mostri una crescita costante degli utili e dei prezzi delle azioni. Dobbiamo avere un sistema che aiuti le persone che perdono il lavoro affinché ne ottengano dei nuovi alle stesse condizioni di paga dei vecchi; non solo un’assicurazione contro la disoccupazione, che è goduta da una percentuale sempre più piccola di americani privi d’occupazione, ma anche un’assicurazione sul salario [una busta paga di minor importo], sui ricollocamenti e una serie di altre misure che forniscano un facile accesso a buoni posti di lavoro.”3
Agendo in questo modo la sinistra ha nel tempo ignorato e poi smantellato il suo vero “potere” le “countervailing forces” le forze di compensazione, che agiscono attraverso il confronto, financo la lotta e la protesta (i sindacati, le advocacies per la tutela dei diritti individuali e collettivi, le rappresentanze intermedie, ecc.). Detto ciò, si rende necessario il ripristino delle perdute guarentigie conquistate con il sudore e con il sangue, le quali sono diventate l’architrave della nostra moderna democrazia liberale.
“…quello che ho imparato più profondamente in quegli anni [in cui facevo parte dell’Amministrazione] era che in questo paese non abbiamo più potere di contrasto. Le grandi imprese, Wall Street e le persone ricche guidano la nostra politica, il nostro governo e, quindi, indirettamente, la nostra economia in termini di regole attraverso cui essa funziona. Per la maggior parte del 20° secolo il lavoro organizzato fu una delle più importanti forze compensative. Altre forze compensative includevano le banche locali e statali, le cooperative, i commercianti e le piccole imprese. Ma ora tutta la nostra struttura politica-economica manca di una compensazione. Ciò ha prodotto un ristagno, se non un calo corretto dall’inflazione delle paghe della maggior parte dei lavoratori e gli stessi posti di lavoro sono sempre meno sicuri. Si possono proporre grandi politiche e grandi idee, ma ciò non ha valore senza un contropotere.” 3
Ma come fare per cambiare questo ordine socio-economico? Con le stesse armi del populismo di destra, sostiene Reich, ovvero contrapponendo al conservatorismo razzista, bigotto e neoliberista repubblicano una diversa versione dei fatti e soprattutto coronare le proprie verità con un’attiva mobilitazione pacifica: informazione ed azione.
In che modo? Semplicemente utilizzando sapientemente quegli strumenti tecnologici che possono permettere di entrare direttamente nelle case di chiunque.
“Dobbiamo trasformare il nostro Democratic Party da quello che finora è stato nel corso di questi ultimi tre decenni un “big fund raising” verticistico in una moltitudine di cittadini attivi e coscienti delle proprie prerogative costituzionali.”
Infatti, ciò che lui chiama “democratic populism” è ben diverso dal populismo propagandistico di Trump. Reich “contro-informa” ogni volta che Trump “annuncia” e lo fa nella sua rubrica su FB (Resistance Report), mettendo in rilievo quanto sia anomala la presunta “democrazia trumpiana” rispetto ai valori fondanti e la prassi istituzionale della repubblica federale statunitense.
Nei suoi (footage) filmati, che sono annunciati tre ore prima – durano da 5 a 20 minuti – spesse volte sono delle brevi lezioni di teoria o scienza della politica: la concezione autoritaria del potere, le teorie delle varie forme di governo, la concezione normativistica della politica e formalistica dello Stato. https://www.youtube.com/watch?v=9cgYsrfMhDs&feature=youtu.be
In altre si sofferma sulle funzioni del governo, o illustra l’ampiezza dei diritti individuali, ecc. Le visualizzazioni contemporanee sono da capogiro: da 100 fino in alcuni casi a sfiorare le 150.000 su FB a tal punto che non si riesce mai a leggere i commenti tanto veloce è il “roll up”. Se volessimo stilare una comparazione si può comodamente affermare che Reich si situa al livello dei filmati di BBC News. In aggiunta a quanto precedentemente esposto non bisogna sottostimare che la maggior parte degli ascoltatori (più del 70%) sono giovani dai 16 ai 30 anni, la nuova generazione americana.
Vi sarebbero molte altre cose da dire su questo “piccolo grande uomo” del Nord-Est americano (Pennsylvania) accasatosi in California, sebbene alcuni punti delle sue argomentazioni debbano essere oggetto di un più approfondito dibattito, come quella relativa alla “neutralità” del commercio internazionale. Sennonché, in un post non si può riassumere tutto il pensiero di Robert Reich, per cui non mi rimane altro che consigliarvi di leggere la sua ultima opera, la quale nello scorso anno ha raggiunto negli USA picchi di vendita impensabili per un libro di saggistica politica: “Saving Capitalism for the Many Not the Few”. Oppure l’edizione italiana: “Come salvare il capitalismo” Fazi editore.
[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Robert_Reich
[2] http://www.huffingtonpost.com/pilar-stella/stakeholder-capitalism-th_b_7862048.html
[4] The Theory of the Leisure Class, Thorstein Veblen, 1899
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