Chi ha paura bada poco se essa è frutto di un pericolo reale o di una percezione esagerata. E soprattutto, quando sei spaventato, non dedichi attenzione a chi fa valutazioni “ragionevoli”, a chi invita alla prudenza.
Sull’irrisolvibile tema dei migranti vorrei per una volta uscire dallo monotono schema: spiriti umanitari e generosi contro egoisti e cinici oppure patrioti e gente di buon senso contro intellettuali dalla doppia morale e radical-chic, per suggerire una sfida tra apocalittici e apocalittici (che mi appare molto più alla moda).
Una Europa in preda al panico ha individuato nell’immigrazione il capro espiatorio di tutte la sue colpe, ritardi, arroganze ma si muove contro questo nemico comune in modo disunito, scomposto, aggressivo.
Invece di allearsi, i governi europei cercano di rifilare agli altri partner i danni, le impopolarità, i costi, le colpe.
La mia domanda è questa: l’Europa ha capito che sta per morire, a prescindere dagli sbarchi? E che affrontare così un’emergenza non solo non porta ad una soluzione ma accelera anche la crisi generale?
Quelli che non devono essere chiari sono i dati di base.
Gli europei sono il 7% della popolazione mondiale; tra pochi anni molti meno, visti i nostri e gli altrui tassi dì natalità. Con miliardi di vicini (per la parola miliardo basta l’Africa) giovani, ambiziosi e senza nulla da perdere. Noi saremo pochi, vecchi (quindi con poca propensione all’innovazione) e con molto da perdere.
In tempi anche recenti l’Occidente ha continuato a resistere per via del suo carisma culturale, storico ed economico, un fascino che andava oltre il vero valore del nostro PIL.
Intanto, però, l’economia materiale si dirigeva a Est-Sud Est, quella immateriale in California.
Ma la vera novità è rappresentata dal garante dell’Occidente: è il Presidente degli Stati Uniti che non ci crede più, non crede più al multilateralismo. Perché oltre al nostro sovranismo esiste anche quello degli altri. E questo per paesi esportatori come noi è un dramma.
Allora ben venga la paura ma quella vera, giustificata dai fatti. Date le condizioni di cui sopra, una Organizzazione responsabile si preoccupa innanzi tutto della propria difesa.
Ci siamo abituati troppo bene. Fino a ieri ci pensavano, anche per noi, gli Americani. Ma nel momento in cui gli USA vogliono che spendiamo la nostra parte, almeno il 2% del PIL di ciascuno, allora tanto vale che mettiamo mano all’esercito europeo.
Primo perché la NATO, con il suo potente e ingombrante membro turco, dovrà ripensare le sue finalità, secondo perché dietro gli armamenti ci sono una quantità e qualità di ricerca utile all’intera filiera dell’industria nazionale.
Siamo assediati da economie che hanno tassi di crescita doppi o tripli del nostro; in queste circostanze cosa ti aspetteresti? Che i capi dei governi studino come ottimizzare le attitudini dei vari paesi, come rendere complementari gli sforzi mai sufficienti negli investimenti strutturali e infrastrutturali, come proteggere unitariamente il benessere continentale.
Invece tutti i leader mostrano i muscoli e cavalcano le protezioni indebite, le distrazioni nei controlli, le concorrenze sleali necessarie a privilegiare il mercato domestico e ad accarezzare e blandire il proprio elettorato interno.
Fra pochi mesi potremmo assistere ad un vero paradosso, ai limiti dell’assurdo: una Comunità europea guidata da chi non crede all’unita europea.
Una delle paure principali riguarda la sicurezza individuale. Cosa aspettiamo a rafforzare la collaborazione delle forze di polizia comunitarie. Le grandi organizzazioni criminali sono tutte transfrontaliere, i reati più odiosi (terrorismo, evasione fiscale, smercio di droga, reati ambientali e alimentari) possono svilupparsi solo attraverso le complicità sovranazionali.
Infine il lavoro. Inutile litigare su mestieri e produzioni che non esisteranno più e considerare solo “precarie” procedure ormai tecnologicamente defunte. La rivoluzione va fatta nella scuola dove bisogna insegnare (mi scappa da ridere) come inventare nuove attività, come curare la fantasia, come coltivare la creatività, come uscire dallo standard e andare fieri della propria anomalia.
Concludendo: è vero che il problema dei flussi migratori è stato subito e non gestito, che l’Europa ha assistito per anni e anni al fenomeno con apatia e rassegnazione, incapace di accettare che nulla sarà come prima e che nessuno “sta più al suo posto”.
Ma quello che non serve, ne’ agli apocalittici ne’ agli integrati, è circondare un continente di filo spinato, di motovedette, di muri non accorgendosi che dentro è pieno di illusi che sono convinti ancora di contare ma che invece vogliono solo essere lasciati in pace per morire tranquilli.
Gianluca
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