(di Federico Fornaro- da http://www.linkiesta.it/)-
A leggere gli editoriali e le dichiarazioni stampa di questi giorni viene da domandarsi se si potrà ancora ancora usare la definizione di “legge truffa” parlando della legge elettorale approvata nel marzo 1953 dalla maggioranza centrista alla vigilia delle elezioni politiche e clamorosamente bocciata nelle urne pochi mesi dopo. Come andò a finire, infatti, è noto: le liste della coalizione di maggioranza (Dc, Psdi, Pli e Pri) sfiorarono di pochissimo (49,8%) la metà più uno dei voti validi necessari per far scattare il premio di maggioranza che avrebbe assegnato loro il 65% degli eletti. Il precedente della legge truffa è stato anche usato a più riprese dalla propaganda governativa e da alcuni costituzionalisti di complemento, contro la minoranza PD, per rispondere alla critiche in meriti alla decisione di Renzi di mettere la fiducia sul provvedimento alla Camera.
La rilettura di una saggio di Maria Serena Piretti, La legge truffa. Il fallimento della ingegneria politica, edito per i tipi del Mulino nel 2003, può, invece, aiutare a inquadrare storicamente il contesto politico interno e internazionale in cui maturò la decisione di mettere mano alla legge elettorale e soprattutto a evidenziare il richiamo strumentale e poco “scientifico” al precedente parlamentare del ’53, in particolar modo proprio per la scelta finale di De Gasperi di porre la fiducia sia alla Camera sia al Senato. Intanto occorre ricordare che, a differenza di Renzi, la maggioranza guidata dallo statista trentino era impegnata in una guerra contro il tempo perché la legislatura iniziata nel 1948 era in scadenza e quindi qualsiasi modifica alla legge elettorale andava approvata prima dello scioglimento naturale delle Camera (il Senato invece aveva all’epoca una durata di 6 anni e soltanto dopo i duri scontri in aula fu deciso dalla maggioranza il suo scioglimento anticipato portando a 5 anni come per la Camera la durata della legislatura).
La legge truffa fu così approvata – in piena zona Cesarini – definitivamente al Senato il 29 marzo 1953 e le camere furono sciolte pochi giorni dopo, il 4 aprile 1953: le elezioni si svolsero il 7-8 giugno del 1953. Vi è dunque una sostanziale differenza con la situazione odierna, dove l’Italicum entrerà in vigore il 1/7/2016. In altri termini, nel 1953 vi era una esigenza di fare in fretta in ragione del vincolo delle elezioni politiche già calendarizzate, mentre nel 2015 la scelta del Governo di concludere l’iter di approvazione parlamentare della legge e’ dettata da motivazioni unicamente di carattere politico e tattico, anche se si tratta oggi della terza lettura, mentre nel ’53 la fiducia fu posta sia per la prima sia per la seconda lettura. Allo stesso modo, coloro che hanno tirato in ballo De Gasperi e lo stesso Aldo Moro per la scelta della fiducia, si sono dimenticati di ricordare il clima di totale e brutale contrapposizione tra maggioranza e opposizione dell’epoca, con una tattica ostruzionistica che durava da mesi essendo iniziata nei primi giorni di dicembre del 1952. Il Governo ottenne la fiducia dalla Camera solamente diverse settimane dopo, il 21 gennaio 1953.
Come ricorderà Pietro Nenni nei suoi diari: «ecco il calendario dell’ostruzionismo. Dal 21 ottobre al 3 dicembre in commissione, dal 7 dicembre al 21 gennaio in aula. L’ultima è durata settanta ore!». A Palazzo Madama, invece, la fiducia fu posta e votata in modo rocambolesco, dopo che il Senato — sono sempre parole tratte dai diari di Nenni — «Da più di settanta ore era immobilizzato nella discussione della urgenza per una legge Bitossi concernente la disciplina del lavoro delle mondine». La fiducia degasperiana fu, in definitiva, un atto di auto-difesa parlamentare contro l’ostruzionismo delle opposizioni e rispondeva quindi all’esigenza di concludere rapidamente l’iter di approvazione, pena l’impossibilità di usare la legge nelle elezioni politiche in programma pochi mesi dopo.
La fiducia renziana, al contrario, è stato un atto preventivo non dettato in alcun modo da esigenze riconducibili (scadenza della legislatura e ostruzionismo) a quelle che indussero De Gasperi e la maggioranza centrista a tenere una linea di chiusura totale. «Noi chiediamo ora la chiusura dopo la valanga di emendamenti e di emendamenti agli emendamenti che non ha certo lo scopo di chiarire un punto della legge ma soltanto di far stagnare la discussione – sostenne Oscar Luigi Scalfaro alla Camera il 19 gennaio 1953 – presumendo che vi possa essere – e personalmente non riuscirò mai a condividere questa impostazione – una specie di diritto di veto dell’opposizione». Alcuni giorni prima il liberale Epicarmo Corbino – non certo un estremista barricadiero e esponente di un partito di maggioranza – parlando a Montecitorio contro la decisione di De Gasperi di porre la fiducia denunciò come si stessero invertendo i rapporti «tra quelli che sono i limiti dei diritti del potere esecutivo, e quelli che sono i limiti dei diritti del potere legislativo». Corbino concludeva con parole che rieccheggiano quelle usate da diversi oppositori dell’Italicum renziano: «per me il problema della prossima votazione è un problema che va al di là della legge elettorale, è un problema che va al di là della procedura o dell’interpretazione della procedura. Dalla prossima votazione procedurale sulla legge elettorale, dipenderanno le condizioni per il mantenimento della democrazia in Italia. Questa è la posta: tutto il resto è secondario».
*Federico Fornaro è un senatore del Partito Democratico.
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