(di Joseph Stiglitz-da http://www.project-syndicate.org/)-
Ciò che desta interesse in questo breve scritto di Joseph Stiglitz, inerente il caso della Grecia, non attiene al dibattito di politica macroeconomica, bensì compendia una più ampia riflessione entro cui le disquisizioni sull’etica ne caratterizzano il senso. L’autore si chiede se il principio di responsabilità vigente nel rapporto debitore/creditore, essendo questo il prodotto di un libero contratto, debba essere posto esclusivamente a carico del primo o diversamente condiviso tra i due sottoscrittori. Nel caso specifico, il laureato Nobel si chiede quanto sia giusto che un creditore, in posizione di vantaggio soprattutto conscio della “debolezza” del debitore non debba pagare anch’esso le conseguenza di questa suo eventuale incauto negozio. Il dilemma tra unicità e condivisione non è di facile soluzione, in quanto entrambi i contraenti, per la loro parte, sottendono due posizioni etiche legittimamente contrapposte. La Germania, intrisa di luteranesimo, equipara il debitore al “peccatore” (schuld), per cui secondo un’etica d’orientamento assolutista, costui deve necessariamente essere soggetto alla condanna perpetua. I principi dell’etica assolutista hanno un fondamento oggettivo essendone alieni a sistemi etici storicamente determinati. Ovviamente, c’è da interrogarsi su quali valori si fonda questo presunto “assolutismo”. La risposta, escludendo la vaghezza di alcune categorie quali la razionalità e la sempre richiamata universalità, è assai semplice: il ferreo rapporto con l’autorità religiosa (luteranesimo, calvinismo, la teoria della predestinazione). L’economista di Gary contrappone al concetto di “assolutismo” quello di “pluralismo”, secondo cui in un consorzio umano è assai più apprezzabile perseguire finalità “empatiche” piuttosto che essere soggetti a forme coercitive, le quali de facto impongono l’etica del più forte.
Stiglitz si rifà al concetto laico di “etica minima” che comprende quell’insieme di principi e di regole entro cui la “ragionevolezza” guida il pensiero verso la ricerca di un punto d’incontro quanto più ”soddisfacente” possibile, scevro da verità soprannaturali o da pregiudizi di parte. Buona lettura.
fg
A Greek Morality Tale
NEW YORK – Quando la crisi dell’euro è iniziata cinque anni fa, gli economisti keynesiani previdero che l’austerità imposta alla Grecia e ad altri paesi in crisi sarebbe fallita. Questa [dissero] avrebbe soffocato la crescita e fatto aumentare la disoccupazione, per giunta fallendo nell’obiettivo di diminuire il rapporto debito PIL. Altri – presso la Commissione europea, la Banca Centrale Europea, e alcune università – parlavano di contrazioni espansive. Ma anche il Fondo Monetario Internazionale sostenne che le “contrazioni”, come i tagli alla spesa pubblica, sono proprio di per sé “costrittive”. Difficilmente abbiamo bisogno di un altro test. L’austerità ha fallito più volte, dal suo esordio precoce sotto il presidente americano Herbert Hoover, che tramutò il crollo del mercato azionario nella Grande Depressione, ai “programmi” del FMI imposti negli ultimi decenni in East Asia e in America Latina. Eppure, quando la Grecia cadde nei guai, [questa dottrina] venne nuovamente applicata. La Grecia è riuscita, in gran parte, a seguire il dettame stabilito dalla “troika” (la Commissione Europea, la BCE, e il FMI): convertendo un deficit di bilancio in un avanzo primario. Ma la contrazione della spesa pubblica è stata, come si prevedeva, devastante: il 25% di disoccupazione, a partire dal 2009 un calo del 22% del PIL, e un aumento del 35% del rapporto debito PIL. Ora, con la schiacciante vittoria elettorale del partito anti austerity Syriza, gli elettori greci hanno dichiarato di averne avuto abbastanza. Allora, che cosa si deve fare? In primo luogo, cerchiamo di essere chiari: la Grecia potrebbe essere incolpata per i suoi guai se fosse l’unico paese in cui la medicina della troika fallì miseramente. Ma, prima della crisi, la Spagna registrò un surplus e un basso rapporto del debito, tuttavia [oggi] è in depressione. Ciò che è necessario [fare] non è tanto una riforma strutturale che coinvolga la Grecia e la Spagna, quanto una stessa che riguardi l’impianto della zona euro e un fondamentale ripensamento delle politiche che hanno generato una così colossale negativa performance dell’unione monetaria. Inoltre la Grecia, ancora una volta, ci sta ricordando quanto seriamente il mondo necessiti di un disegno di ristrutturazione del debito. Un debito eccessivo causato non solo dalla crisi del 2008, ma anche da quelle avvenute in oriente nel 1990 e in America Latina nel 1980. Questo [dato di fatto] continua a causare indicibili sofferenze negli Stati Uniti, dove milioni di proprietari di case hanno perso le loro abitazioni, e ora ne minaccia altri milioni in Polonia e altrove che accesero mutui in franchi svizzeri. Considerata la quantità di disagio causata da un eccesso di debito, ci si potrebbe anche chiedere perché gli individui e le nazioni si sono più volte messi in questa situazione? Dopo tutto, tali debiti sono dei contratti – cioè, degli accordi volontari – in questo modo i creditori sono altrettanto responsabili per loro [parte] quanto lo sono i debitori. In realtà, i creditori probabilmente sono ancor più responsabili: in genere, questi sono delle sofisticate istituzioni finanziarie, mentre i mutuatari spesso sono molto meno in sintonia con le vicende del mercato e dei rischi associati ai diversi accordi contrattuali. Sappiamo, infatti, che le banche statunitensi, in realtà considerano i loro debitori come delle prede, approfittando della loro mancanza di raffinata cultura finanziaria. Ogni Paese (avanzato) si è reso conto che per fare in modo che il capitalismo funzioni si rende opportuno che gli individui abbiano la possibilità di ripartire. L’incarceramento dei debitori nel XIX° secolo fu un fallimento – [un metodo] disumano e certo non contribuì a garantire il rimborso. Ciò che fornì un aiuto fu quello di offrire i migliori incentivi per un valido sistema di prestiti, rendendo i creditori maggiormente responsabili per le conseguenze delle loro decisioni. A livello internazionale, non abbiamo ancora messo a punto un processo ordinato per dare ai paesi un nuova ripartenza. Ancora prima che scoppiasse la crisi del 2008, le Nazioni Unite, con l’appoggio di quasi tutti i paesi emergenti e in via di sviluppo, si sono impegnati a creare un tale processo [di revisione del cumulo debitorio]. Ma gli Stati Uniti si sono fermamente opposti; mi chiedo se intendessero reintrodurre la prigione per funzionari delle nazioni indebitate (in tal caso, lo spazio potrebbe essere l’apertura di Guantanamo Bay). L’idea di riportare nelle carceri i debitori può sembrare inverosimile, ma risuona correntemente nei discorsi riguardanti l’azzardo morale e il principio di responsabilità. C’è il timore [da parte dei creditori] che, se alla Grecia, così come per gli altri, sarà permesso di ristrutturare il proprio debito, vorrà semplicemente dire farla precipitare nei guai ancora una volta. Questa è una pura sciocchezza. Qualcuno sano di mente può pensare che un paese si metterebbe volentieri negli stessi guai che la Grecia ha vissuto, solo per ottenere una liberatoria dai prestatori – soprattutto i privati – i quali sono stati ripetutamente salvati. Se l’Europa ha permesso che i debiti [contratti] dal settore privato venissero accollati al settore pubblico – un modello consolidato nel corso dell’ultimo mezzo secolo – è l’Europa, e non la Grecia, che dovrebbe sopportare le conseguenze. Infatti, la situazione attuale della Grecia, tra cui la massiccia crescita del rapporto sul debito, è in gran parte colpa dei programmi sbagliati imposti dalla troika. Quindi non è la ristrutturazione del debito, ma la sua assenza nel fare ciò, che è “immorale”. Non c’è niente di particolarmente speciale riguardo i dilemmi che la Grecia oggi si trova ad affrontare; molti paesi sono nella stessa posizione. Ciò che rende i problemi della Grecia più difficili da affrontare è la struttura della zona euro: l’unione monetaria implica che gli Stati membri non possono svalutare per uscire fuori dai guai, inoltre non c’è nemmeno quel pizzico di solidarietà europea che compensi la perdita di flessibilità. Settanta anni fa, alla fine della II° Guerra Mondiale, gli alleati riconobbero che alla Germania si dovesse concedere una ripartenza. Si convenne che l’ascesa di Hitler ebbe molto a che fare con il tasso di disoccupazione (e non con l’inflazione) che fu il risultato d’averle imposto un eccessivo debito [bellico] alla fine della prima guerra mondiale. Gli Alleati non tennero in considerazione la follia con cui i debiti vennero accumulati o discussero sui costi che la Germania aveva imposto agli altri. Invece, non solo perdonarono i debiti; fornirono in realtà aiuti, e le truppe alleate di stanza in Germania, contribuirono con un ulteriore stimolo fiscale. Quando le aziende falliscono, il deb equity swap è una soluzione equa ed efficace. L’approccio analogo per la Grecia è quello di convertire le sue obbligazioni attuali in titoli collegati al PIL. Nel caso in cui la Grecia faccia bene, i creditori riceveranno di più del loro denaro [investito]; se non lo farà, ne riceveranno di meno. Entrambe le parti dovrebbero quindi avere un potente incentivo a perseguire politiche pro crescita. Raramente le elezioni democratiche offrono un chiaro messaggio così come quello che si è visto in Grecia. Se l’Europa risponde negativamente alla domanda degli elettori greci per un cambiamento di rotta, non fa altro che dirsi che la democrazia non ha alcuna importanza, almeno quando si tratta di economia. Perché non dismettere la democrazia, come fece di fatto l’isola di Terranova quando entrò in amministrazione controllata prima della seconda guerra mondiale? Si spera che coloro che comprendano l’economia del debito e l’austerità, e che credono nella democrazia e nei valori umani, alla fine prevalgano. Se questo accadrà resta da vedere.
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