(di Lafayette)-
Benché Stiglitz nel suo articolo, https://www.associazionearcipelago.it/j-stiglitz-europa-ultimo-atto/, sostenga che la “troika” e la Grecia debbano trovare un punto di convergenza per il bene complessivo della moneta unica, nonché per la UE nel suo complesso, alcuni nel campo dei cosiddetti pessimisti – o semplicemente, realisti – pensano che un equo accordo tra le parti non sarà mai possibile: l’epilogo quando avverrà determinerà un vincitore e un vinto. E’ assai difficile dall’esterno, scorrendo la stampa quotidiana, carpire quali siano le reali posizioni assunte dai contendenti in questa disputa. Tuttavia, qualora si decidesse d’indagare un po’ più profondamente, consultando alcuni autorevoli blogs finanziari attivi nel vasto panorama anglosassone, qualche indizio più concreto emergerebbe. Se tali “rumours” fossero attendibili non sarebbero per nulla rassicuranti: a quanto pare i greci accetterebbero parte del percorso di “risanamento” proposto dalla Troika a condizione che in primis si discuta sulla “ristrutturazione del debito”. Pratica finanziaria che si presta a diverse interpretazioni, ma che per i greci significa una sola cosa: riduzione del valore dello stock debitorio pubblico. Secondo i più informati non bisognerebbe farsi incantare dalle ondivaghe dichiarazioni che provengono da Atene, poiché questo effetto “comunicativo” fa parte di una studiata tattica dilatoria, con lo scopo di creare nervosismo e incertezza sui mercati. Syriza – al di là delle stucchevoli moine europeiste – sostiene che se non si procede a “tagliare” lo stock del debito qualsiasi percorso correttivo, non solo danneggerebbe la sua immagine politica in patria, ma prolungherebbe l’agonia del popolo greco senza risolvere il problema di fondo. Per converso, la Germania, forte dell’impegno sottoscritto nel 2012, dai partner europei che porta il nome di “Trattato di Stabilità Finanziaria”, sotto il quale i firmatari s’impegnarono a modificare la legislazione interna in modo da produrre un bilancio pubblico quasi in pareggio, non ne vuole assolutamente parlare. Quindi, le posizioni – nonostante gli illusori quotidiani arbitraggi – alla fine rimarrebbero inconciliabili: per gli Stati del Nord, la Grecia deve in primo luogo onorare i suoi debiti; secondariamente, pur con qualche aggiustamento correttivo meno stringente rispetto al dettato imposto a Samaras, deve adeguarsi alle regole condivise. I greci obbiettano, a ragione, che fu proprio la Germania per prima a non aver rispettato le regole del PSC, subito dopo l’unificazione; inoltre fu la stessa Germania di Adenauer che chiese ed ottenne nei primi anni 50 il condono dell’enorme debito di guerra da parte delle potenze vincitrici. Considerati questi inoppugnabili dati di fatto, la Repubblica tedesca non potrebbe far altro che trattare una soluzione mediata di fronte alle controdeduzioni greche. Sennonché, l’attuale governo federale è diventato vittima di sé stesso. Infatti, dopo aver biasimato sin dal 2011 i reprobi Stati del sud per la loro vena scialacquatoria imponendo una ferrea austerità, come potrebbe ora concedere ai greci ciò che ieri negò con fermezza agli altri?
Quale argomento si opporrebbe a una eventuale richiesta del Governo Italiano o Portoghese concernente una “ristrutturazione” del debito in misura uguale a quello Greco? Inoltre, come potrebbe la Merkel far digerire alla sua componente di partito più conservatrice un “salvacondotto” per Atene, dopo aver perorato per anni la necessità di un severo controllo della spesa pubblica domestica? Infine, nel corso dell’ultimo trimestre lo scenario si è ulteriormente complicato passando da una semplice disputa domestica a caso di politica internazionale. La comparsa del personaggio Russia sta innervosendo gli americani. E’ dato ormai per scontato che Putin abbia offerto al governo greco la propria disponibilità a “collaborare” per sanare la rimanente obbligazione verso l’FMI (anticipo di 5 miliardi di dollari per i diritti per il nuovo gasdotto). I due Stati hanno un vincolo culturale e religioso assai stretto. Non molti sanno che il cirillico russo deriva da una mutazione dell’alfabeto greco classico. Qualora si delineasse questa ipotesi l’UE si troverebbe da sola ad affrontare la falange greca, la quale forte dell’appoggio russo serrerebbe in misura maggiore i suoi ranghi. Ovviamente – secondo i più pessimisti – i rapporti di forza muterebbero in quanto l’Europa (BCE e Bruxelles) non avrebbe altra scelta che optare per una delle due presumibili proposte che Atene porrebbe sul tavolo della trattativa: la riduzione dello stock del debito (hair cut, parziale accollo al Fondo Salva Stati) o default incontrollato. Del resto, la maggioranza del popolo ellenico cosa avrebbe altro da perdere più di quanto ha già perduto negli ultimi terribili quattro anni, se non il proprio orgoglio? Di fronte a uno scenario del genere – per nulla irrealistico – ci chiederemmo con preoccupazione come reagirebbero i mercati? Inoltre, sarebbero in grado le istituzioni europee di evitare le devastanti conseguenze politiche derivanti da tale situazione. Altro che il fastidioso “cicaleccio” sulla “buona scuola”.
Se dovessimo reputare valida la frase ciceroniana che “la storia è maestra di vita”, paradossalmente questo scenario i greci lo vissero nel corso delle guerre persiane nel 490 a.C. Non è affatto vero, secondo l’iconografia classica, che gli antichi Greci furono esenti da colpe nell’aver provocato la guerra, così come è assai superficiale addossare tutte le responsabilità alla rapace Germania nella vicenda attuale. L’Atene classica con la sua politica imperiale per il controllo della Ionia più volte infastidì Sardi. Cosicché, prima Dario poi Serse reagirono. La prima spedizione fu male organizzata dai persiani e gli ateniesi quasi solitari li sconfissero a Maratona grazie all’abilità di Milziade. La seconda fu un vero esercito d’invasione che contava dieci volte le forze degli ateniesi. Le esagerazioni della leggenda ci mostrano fin da subito la creazione di un fronte comune greco. Non fu così, Corinto, Argo, Sparta, Egina e altre poleis greche odiavano Atene per la sua presunta “altezzosità democratica”. Ma quando in un secondo tempo i Lacedemoni capirono che la caduta dell’Attica avrebbe significato la cancellazione dell’identità greca, essi cedettero alla richiesta d’aiuto e indussero anche i più riottosi ad allearsi con Atene. La perfetta combinazione tra il senso di appartenenza e la guida di due valenti strateghi, che seppero applicare un’astuta tattica dilatoria, lo spartano Pausania e l’ateniese Temistocle, mutò la disperazione del popolo greco in trionfo. Temistocle distrusse la potente ma stordita flotta persiana a Salamina, poi Pausania con i suoi opliti rese mortali i temibili, ma sfiancati “immortali” di Serse a Platea. La piccola, ma orgogliosa Grecia sconfisse un vasto regno al culmine della sua potenza.
Varoufakis e Tsipras potrebbero rappresentare gli attuali Pausania e Temistocle? Schäuble e la Merkel sorriderebbero all’idea di una tale stupidaggine. Molto meno ridanciani sono gli analisti e i grandi investitori internazionali che da qualche mese consigliano alla loro ricca clientela di operare con circospezione sui mercati del vecchio continente “coprendosi” con opzioni put (ribasso) al fine d’evitare improvvisi e onerosi salassi.
d, la Grecia deve in primo luogo onorare i suoi debiti; secondariamente, pur con qualche aggiustamento correttivo meno stringente rispetto al dettato imposto a Samaras, deve adeguarsi alle regole condivise. I greci obbiettano, a ragione, che fu proprio la Germania per prima a non aver rispettato le regole del PSC, subito dopo l’unificazione; inoltre fu la stessa Germania di Adenauer che chiese ed ottenne nei primi anni 50 il condono dell’enorme debito di guerra da parte delle potenze vincitrici. Considerati questi inoppugnabili dati di fatto, la Repubblica tedesca non potrebbe far altro che trattare una soluzione mediata di fronte alle controdeduzioni greche. Sennonché, l’attuale governo federale è diventato vittima di sé stesso. Infatti, dopo aver biasimato sin dal 2011 i reprobi Stati del sud per la loro vena scialacquatoria imponendo una ferrea austerità, come potrebbe ora concedere ai greci ciò che ieri negò con fermezza agli altri?
Quale argomento si opporrebbe a una eventuale richiesta del Governo Italiano o Portoghese concernente una “ristrutturazione” del debito in misura uguale a quello Greco? Inoltre, come potrebbe la Merkel far digerire alla sua componente di partito più conservatrice un “salvacondotto” per Atene, dopo aver perorato per anni la necessità di un severo controllo della spesa pubblica domestica? Infine, nel corso dell’ultimo trimestre lo scenario si è ulteriormente complicato passando da una semplice disputa domestica a caso di politica internazionale. La comparsa del personaggio Russia sta innervosendo gli americani. E’ dato ormai per scontato che Putin abbia offerto al governo greco la propria disponibilità a “collaborare” per sanare la rimanente obbligazione verso l’FMI (anticipo di 5 miliardi di dollari per i diritti per il nuovo gasdotto). I due Stati hanno un vincolo culturale e religioso assai stretto. Non molti sanno che il cirillico russo deriva da una mutazione dell’alfabeto greco classico. Qualora si delineasse questa ipotesi l’UE si troverebbe da sola ad affrontare la falange greca, la quale forte dell’appoggio russo serrerebbe in misura maggiore i suoi ranghi. Ovviamente – secondo i più pessimisti – i rapporti di forza muterebbero in quanto l’Europa (BCE e Bruxelles) non avrebbe altra scelta che optare per una delle due presumibili proposte che Atene porrebbe sul tavolo della trattativa: la riduzione dello stock del debito (hair cut, parziale accollo al Fondo Salva Stati) o default incontrollato. Del resto, la maggioranza del popolo ellenico cosa avrebbe altro da perdere più di quanto ha già perduto negli ultimi terribili quattro anni, se non il proprio orgoglio? Di fronte a uno scenario del genere – per nulla irrealistico – ci chiederemmo con preoccupazione come reagirebbero i mercati? Inoltre, sarebbero in grado le istituzioni europee di evitare le devastanti conseguenze politiche derivanti da tale situazione. Altro che il fastidioso “cicaleccio” sulla “buona scuola”.
Se dovessimo reputare valida la frase ciceroniana che “la storia è maestra di vita”, paradossalmente questo scenario i greci lo vissero nel corso delle guerre persiane nel 490 a.C. Non è affatto vero, secondo l’iconografia classica, che gli antichi Greci furono esenti da colpe nell’aver provocato la guerra, così come è assai superficiale addossare tutte le responsabilità alla rapace Germania nella vicenda attuale. L’Atene classica con la sua politica imperiale per il controllo della Ionia più volte infastidì Sardi. Cosicché, prima Dario poi Serse reagirono. La prima spedizione fu male organizzata dai persiani e gli ateniesi quasi solitari li sconfissero a Maratona grazie all’abilità di Milziade. La seconda fu un vero esercito d’invasione che contava dieci volte le forze degli ateniesi. Le esagerazioni della leggenda ci mostrano fin da subito la creazione di un fronte comune greco. Non fu così, Corinto, Argo, Sparta, Egina e altre poleis greche odiavano Atene per la sua presunta “altezzosità democratica”. Ma quando in un secondo tempo i Lacedemoni capirono che la caduta dell’Attica avrebbe significato la cancellazione dell’identità greca, essi cedettero alla richiesta d’aiuto e indussero anche i più riottosi ad allearsi con Atene. La perfetta combinazione tra il senso di appartenenza e la guida di due valenti strateghi, che seppero applicare un’astuta tattica dilatoria, lo spartano Pausania e l’ateniese Temistocle, mutò la disperazione del popolo greco in trionfo. Temistocle distrusse la potente ma stordita flotta persiana a Salamina, poi Pausania con i suoi opliti rese mortali i temibili, ma sfiancati “immortali” di Serse a Platea. La piccola, ma orgogliosa Grecia sconfisse un vasto regno al culmine della sua potenza.
Varoufakis e Tsipras potrebbero rappresentare gli attuali Pausania e Temistocle? Schäuble e la Merkel sorriderebbero all’idea di una tale stupidaggine. Molto meno ridanciani sono gli analisti e i grandi investitori internazionali che da qualche mese consigliano alla loro ricca clientela di operare con circospezione sui mercati del vecchio continente “coprendosi” con opzioni put (ribasso) al fine d’evitare improvvisi e onerosi salassi.
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