(di ACQUA22)
L’amministrazione cittadina attuale è impegnata in una enorme attività progettuale, peraltro discutibile in quanto elaborata a fine mandato (e si sa che in questo caso gli obiettivi sono anche e soprattutto elettorali), ma anche perché incentrata su progetti grandiosi o addirittura su proclami non supportati da alcuna evidenza tecnica.
Si pensa di realizzare il nuovo ospedale, ma dove e con quale progetto?
Si pensa di costruire il campus universitario agli Orti, in una zona decentrata rispetto al centro città e alla stazione, senza elaborare alcun progetto di destinazione degli enormi edifici vuoti esistenti, e più funzionali, a cominciare dalla Valfrè.
Si annuncia che l’ENAC concede di spostare l’aeroporto Bovone. Ma quanto costa farlo, chi finanzia il progetto e dove si sposta l’attuale aeroporto?
Spostare il Bovone per costruire il nuovo ospedale nel sito attuale dell’aeroporto, dichiarato a rischio esondazione, pare una operazione poco razionale. Senza parlare dei tempi e delle difficoltà di realizzazione dell’opera. Il progetto di spostare l’aeroporto è già stato esaminato in passato sollevando notevoli problematiche. E poi la Smart City di orwelliana visione, con telecamere che parlano e intelligenza trasferita dalle persone alle macchine (vedi cassonetti intelligenti), ma con un impegno trentennale. Visto che si parla di tecnologie innovative oggi, ci si dovrebbe domandare perché ce le dobbiamo tenere così come sono per trent’anni.
Come, con quale velocità e in che misura cambierà la tecnologia nel prossimo trentennio?
Le scelte di oggi saranno ancora valide in futuro o saranno obsolete, ad esempio già tra 10 anni?
Pare che nessuno si ponga queste domande e invece si pensa di impegnare il comune per 30 anni su una visione tecnologica valida nel presente.
Questo mega progetto si articola, da quanto è dato sapere, in tre aree:
1) l’illuminazione pubblica, che si avvale di circa 15.000 pali, metà dei quali di proprietà del comune e gestiti da Enel Sole e metà di proprietà e gestione di Enel Sole;
2) l’innovazione che “vestirà” i pali in termini di video-sorveglianza e servizi vari, quali la ricezione della tele-lettura dei contatori acqua e gas o la segnalazione di vuoto/pieno dei cassonetti;
3) la ristrutturazione del servizio di raccolta rifiuti attraverso l’utilizzo dei cosiddetti “cassonetti intelligenti”, che si aprono con un badge che certifica il conferimento e quindi il pagamento da parte di ogni singolo utente in base a quanto conferito.
Nessuno discute sulla necessità dei punti 1) e 2) e più in generale sull’utilità di una Smart City, ma limitare il progetto, sia temporalmente sia in termini di esborso finanziario, mantenendo la visione di insieme del progetto, sarebbe solo un atto di buon senso.
L’esperienza dei cassonetti intelligenti in Italia è contraddittoria. Basta andare su internet per verificare i problemi che essi generano. Alcune città li stanno sperimentando e altre li hanno già rimossi. L’abbandono dei rifiuti all’esterno e la rottura del cassonetto stesso sono le prime cause di malfunzionamento del servizio. Senza contare il fatto che sono necessari compattatori specifici che necessitano di un investimento oneroso.
Invece di passare ad un semplice porta a porta parziale o completo, con un miglioramento sicuro della percentuale di raccolta differenziata e puntare sulla crescita dell’educazione civica su questo importante servizio, si pensa di demandare alla tecnologia la soluzione (illusoria) dei problemi.
Il problema è che il tutto ci costa 26 milioni e comporta una restituzione di 57 milioni.
Una fuga in avanti che ha sì una componente industriale ma soprattutto molta propaganda elettorale.
I grandi cambiamenti avvengono per piccoli passi e non attraverso progetti faraonici che, se sbagliati, rischiano di affossare una comunità, nel caso di Alessandria già molto sofferente.
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