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A sinistra torna di moda il verbo “ascoltare”

3 Febbraio 2017 by Redazione Lascia un commento

gloria-de-pieroEsattamente una settimana fa comparve sul settimanale labourista inglese “New Statesman” un articolo scritto da una parlamentare del Regno, anch’ella di fede labourista, titolato: “Se la sinistra desidera che si metta fine alle sue sconfitte, ebbene noi non dobbiamo fare altro che incominciare ad ascoltare”.

Con la parola “ascolto” (listening) Gloria De Piero (nella foto), eletta nella circoscrizione di Ashfield argomenta contro una certa sinistra a parer suo elitaria e istituzionale, la quale si arroga il diritto di decidere le proprie “policies” sulla base di una presunta “giusta causa” senza mai prestare un’adeguata attenzione a ciò che i suoi tradizionali ceti di riferimento realmente pensino a riguardo.

“Un sacco di sciocchezze è stato scritto sulla disconnessione tra il Labour Party e gli elettori nelle nostre roccaforti tradizionali. Secondo una caricatura alla carlona e offensiva, queste sono le città ad alta concentrazione industriale [Sutton-in-Ashfield, Nottinghamshire][1] dove i voti del Labour tempo fa erano pesati, anziché contati, o dove anche un asino con una rosetta rossa [simbolo del Labour] in fronte avrebbe sempre vinto. La realtà è più complessa. Prendete i due luoghi che hanno formato la mia [carriera] politica più che di qualsiasi altra parte: Bradford, dove sono cresciuta, e la ex sede d’estrazione del carbone ad Ashfield, di cui sono così orgogliosa di rappresentarla in Parlamento. Entrambi i luoghi calzerebbero a pennello lo stereotipo delle “roccaforti del Labour”. Ma quando stetti studiando per il mio A-Levels a Bradford, il Consiglio Comunale fu in mano ai Conservatori di Eric Pickles e quando venni eletta in Ashfield nel 2010 la mia maggioranza fu solo di 192 voti.”[2]

Quindi:

“…le difficoltà del Labour Party nelle nostre roccaforti non è iniziata con Jeremy Corbyn, perché la verità è che il nostro contributo in luoghi come quelli si è eroso nel corso del tempo. Questa è una delle ragioni principali per la quale non abbiamo vinto un’elezione generale da oltre un decennio. Quanto da me precedentemente esposto non è solo un problema britannico. In tutto il mondo sviluppato, le formazioni di sinistra e di centro-sinistra con i socialdemocratici sono in una fase di ripiego a tal punto che nell’Unione Europea hanno perso 26 volte su 33 elezioni nazionali a partire dallo scoppio della crisi finanziaria nel 2008.”

Ovviamente queste affermazioni, per altro non molto dissimili dalla realtà, produssero un putiferio all’interno del Labour. Da taluni volarono accuse sferzanti di “populismo”, di “becero qualunquismo”. Ci fu chi, tra i più arrabbiati, giunse a sostenere che certi valori della sinistra non possono essere messi in discussione, poiché il cosiddetto popolo di cui parla la De Piero è costantemente sottoposto a una manipolazione “ideologica” – intesa nel rispetto di una fedele interpretazione marxiana – quindi, secondo questa tesi, sarebbe privato dagli “strumenti” adatti per capire il suo reale stato di subordinazione e di sfruttamento. La maggioranza, sebbene con sfumature diverse, ritenne che questa “disconnessione” non sia esclusivamente un problema tra Labour e i suoi gruppi sociali di riferimento, ma che investa lo spettro ben più ampio della relazione tra cittadinanza e ceto politico. A corredo di ciò, alcuni azzardarono tesi “scientifiche” tirando in ballo nientemeno che la Teoria Sistemica della Politica. Essi affermarono che solo adottando questa metodologia si può pervenire a una soluzione del problema e di conseguenza all’impiego di opportuni rimedi.

La Teoria Sistemica della Politica considera il concetto di “Ambiente” come quella parte di spazio fisico sociale che si colloca al di fuori di un sistema politico ma dentro la stessa società. Al proprio interno troviamo numerose variabili che lo compongono: il modello economico, quello sociale, il temperamento di un popolo, la ripartizione demografica, ecc. Il Sistema Politico invece, per sua natura autoritativo (governo) e inclusivo (partiti e corpi intermedi), si “contrappone” al precedente e con esso scambia continuamente flussi di domande (input) e di risposte (output). Il meccanismo è molto semplice: l’Ambiente pone le sue istanze, che vengono filtrate e organizzate attraverso i corpi intermedi o i partiti, a cui il Sistema Politico risponde con norme, provvedimenti amministrativi e decreti assegnando valori corrispondenti all’intensità degli input. Una perfetta osmosi tra le due parti, frutto di una sostanziale equivalenza identitaria tra input e output, determina ciò che viene definito come “equilibrio sistemico”.  Eventuali “incomprensioni”, ossia norme che non vengono gradite pienamente dall’Ambiente possono essere emendate attraverso un processo di “feed-back” o di “retro-azione”, il quale consisterebbe in una sorta di manovra correttiva che partendo dal Sistema Politico modifica la precedente disposizione autoritativa adeguandola alle “rimostranze” dell’Ambiente.

Il problema si pone quando un processo fisiologico degrada fino al punto di diventare patologico (stato di crisi sistemica). Nel caso specifico, questo accade quando le due parti non sono più in grado di leggere correttamente i flussi che si scambiano. Se da un lato (Ambiente) chiede “bianco” e il Sistema Politico risponde “grigio”, ovviamente l’intero paradigma va in “tilt”.

Dalla stesura di un banale articolo, anche un po’ pretenzioso, tra i militanti del Labour sui loro blog e sulla stampa di riferimento nacque una vivace disputa dalla quale si possono trarre delle considerazioni interessanti che vanno al di là dal problema che ha imperversato negli ultimi due decenni la sinistra inglese. Riprendendo il concetto di “crisi sistemica” il dibattito prese ulteriormente slancio. I successivi interrogativi che vennero posti all’attenzione di tutti suonarono più o meno così: “se si dà per scontato che tale patologia infetta l’intero sistema, non si vede perché questa non sia anche la causa di tutto ciò che concerne il rapporto tra i nostri ceti di riferimento e l’élite del partito”.

Infatti, a corollario Gloria De Piero scrive:

“…le idee di cui abbiamo bisogno per ricostruire quella visione non arriveranno certo dai think-tank di Westminster e di Whitehall e se verranno applicate non funzioneranno. Qualsiasi progetto per creare un futuro migliore per il popolo sarebbe stato meglio iniziarlo [ascoltando] le persone.”

Su questo passaggio, la disputa assunse connotazioni virali. Non è difficile capirne le ragioni: nel Labour il “nervo” della Brexit è ancora scoperto e tuttora assai dolente. Molti si chiesero: come è possibile che un partito a vocazione europeista, la cui leadership ha condotto per tre mesi una campagna a fianco dei remainers, scopra il giorno successivo del referendum che le più agguerrite roccaforti labouriste – con l’eccezione di Londra – abbiano votato in senso contrario?

Forse, come suggerisce Gloria De Piero nella sua introduzione, bisognerebbe andare indietro nel tempo per fornire un’adeguata risposta a questo quesito:“…le difficoltà del Labour Party nelle nostre roccaforti non sono iniziate con Jeremy Corbyn, perché la verità è che il nostro contributo in luoghi come quelli si è eroso nel corso del tempo…”.  Detto in soldoni: se l’Ambiente “informò” per anni il Sistema Politico che da Grimsby per raggiungere Hull a un tiro di schioppo (due roccaforti Labour) verso l’altra parte del fiume Humber, ci si impiega quasi due ore, perché non vi è alcun collegamento ferroviario diretto[3] e la risposta del Governo Labour fu che “le policies inerenti la fruibilità della rete ferroviaria presupponevano che gli investimenti privati fossero prioritari rispetto ai servizi di pubblica utilità ” allora vuol dire che la “disconnessione” a sinistra vien da lontano.

Su questo argomento la Gloria De Piero incalza:

“…le persone che condividono i nostri valori hanno bisogno di un servizio sanitario nazionale che serva per i loro figli, così come lo ha fatto per noi; non vogliono vedere i vicini che vivono di elemosine dalle foodbanks [banche del cibo, equivale alla nostra Caritas]; e credono che un’onesta giornata di lavoro dovrebbe corrispondere a giusta paga giornaliera”.

Giustissimo, affermò la stragrande maggioranza, ma per alcuni forse ora è troppo tardi per recuperare. Secondo costoro, parte di quella generazione, di cui parla la De Piero, che ha vissuto nei tredici anni di blairismo labourista e a cui è stato fatto credere che il libero mercato e il processo di deregolamentazione e di smantellamento dello stato sociale attuato dal thatcherismo non fosse del tutto condannabile in larga parte, eccetto per i suoi dettagli più crudi, ora è completamente disillusa e per di più disponibile a sostenere chiunque si contrapponga alla indistinguibile narrazione dell’establishment attualmente dominante. Diversamente, a loro dire, non si capirebbe perché secondo una ricerca condotta dalla Poverty and Social Exclusion, 30 milioni di persone nel Regno Unito soffrono d’insicurezza finanziaria, 4 milioni non sono adeguatamente nutrite, 2,3 milioni di famiglie non possono permettersi di riscaldare gli spazi di vita quotidiana delle loro case. Per un altro verso, vivono qui più miliardari che in molti altri paesi, e l’economia è cresciuta nel corso degli ultimi sei anni.[4]

Tuttavia, a Gloria De Piero non manca il coraggio poiché:

“…sto preparando un tour non-stop per le prossime 10 settimane. So che non tutti sono interessati a questa [mia iniziativa] come lo sono io, e considerato che ho organizzato un incontro pubblico in Ashfield, non vorrei sentire da chiunque che in quel dato momento abbia qualcosa di meglio da fare. Ecco perché sto andando a incontrare il maggior numero di miei elettori faccia a faccia nel posto in cui vivono e lavorano”.

Auguriamoci che lei abbia successo, anche se sarà assai arduo riconquistare la fiducia di quella parte del mondo del lavoro che oggi opera con minor garanzia di tutela e con un potere d’acquisto inferiore di un quarto rispetto allo stesso goduto alla fine degli anni 70. Fanno parte di questa stratificazione sociale un gran numero giovani precari non votanti e anziani pensionati ex classe operaia che in massa hanno votato Brexit solo per sfogare il loro risentimento verso coloro dai quali non si sentivano più rappresentati (effetto Trump).

Non si creda che l’attuale situazione di “disconnessione” a sinistra che si è concretata qui da noi sia così lontana dal travaglio che attualmente sta vivendo il Labour Party nell’isola britannica o i Democrats negli USA. Forse, anziché aver tambureggiato per settimane disquisendo su come, promulgare la “rivoluzionaria” legge sulla “step child adoption” se si fossero ascoltate le voci dei giovani e le categorie più esposte allo sfruttamento del lavoro, questa iniziativa sarebbe stata posposta rispetto al varo di una norma sul “minimun wage”. Oggi, quasi certamente lo scenario politico nel nostro paese sarebbe stato diverso. Ci si riferisce a quella garanzia che tutela  il “salario minimo” oramai presente in quasi tutte le democrazie occidentali, la quale se fosse stata accompagnata da sanzioni fiscali per scaltri imprenditori che utilizzano tuttora indiscriminatamente “outsourching” nel settore dei servizi in paesi extra UE solo per ingigantire i propri profitti avrebbe evitato insorgenze e manifestazioni di disprezzo nei confronti dell’esecutivo. Forse, nel legiferare una riforma del mercato del lavoro improntata sulla “flexibility” se si fossero ascoltate le parti sociali non ci sarebbe stata quella “distratta dimenticanza” in tema di “security”, aspetto che non passò inosservato in Danimarca negli anni 90. Forse, anziché aver tuonato per sei mesi sostenendo l’ineluttabilità di una inutile e pasticciata riforma costituzionale, se si fossero ascoltati quei malumori affioranti da quel quasi 40% di disoccupazione giovanile si sarebbe potuto incominciare a riflettere sull’opportunità d’introdurre anche qui da noi un “salario di cittadinanza” (argomento ora all’ordine del giorno nei principali consigli di governo europei), anziché buttare al vento decine di miliardi in regalie, mance elettorali e sussidi alle imprese. Forse, se ci fosse stato un adeguato freno istituzionale alla pura megalomania, il parlamento non avrebbe votato una legge elettorale valida per la Camera scordandosi che esiste nella nostra Repubblica anche un Senato, che per altro non verrà mai applicata (evento che ha fatto “scuola” per tutti i costituzionalisti internazionali). La lista dei “forse” purtroppo è molto lunga e include anche la scellerata garanzia pubblica “televisiva” sulla “salubrità” delle azioni del MPS, la rimbombante Buona Scuola e così via. Dopo di che, a discapito di tutti quei “forse”, anche noi abbiamo avuto come “naturale” epilogo la nostra “Brexit”.

Pare, leggendo le cronache del giorno,  che l’imperatore e la sua corte si stia recando lentamente e con riluttanza verso Canossa (amena località del Parmense), sebbene non ancora a piedi scalzi. Le stesse c’informano che il verbo “ascoltare” sia tornato di moda anche nella nostra sinistra di governo. Auguriamoci che tutto ciò corrisponda al vero e soprattutto che non sia troppo tardi.

Ideologia, populismo, Teoria Sistemica della Politica o semplice pragmatismo?

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Sutton-in-Ashfield

[2] http://www.newstatesman.com/politics/elections/2017/01/if-left-wants-stop-losing-well-have-do-lot-more-listening

[3] https://www.theguardian.com/uk-news/2016/dec/16/brexit-britain-has-the-deepest-faultlines-of-any-country-i-have-known

[4] https://www.theguardian.com/uk-news/2016/dec/16/brexit-britain-has-the-deepest-faultlines-of-any-country-i-have-known

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